martedì 11 marzo 2008

YOL - Goren (1982)

Scritto da Yilmaz Guney, regista curdo, dal carcere dove era rinchiuso per omicidio. Girato dall'amico Goren. Montato dallo stesso Guney in Svizzera, dopo essere evaso usufruendo di un permesso. Già questi elementi basterebbero per fare di Yol - vincitore al Festival di Cannes del 1982 – un film affascinante. Se poi ci si aggiunge il racconto spigoloso di storie troppo difficili, il paesaggio quasi sempre ostile (quando non letale), la guerra "a bassa intensità" e la continua discriminazione nei confronti della popolazione curda, la militarizzazione della società turca, lo spietato maschilismo, misto ad un concetto di "onore" che purtroppo anche in Italia conosciamo bene, ed un fanatismo religioso cieco ed ignorante, ecco che il film diventa anche tragico.
Yol è, detto in poche parole, il racconto di alcuni giorni vissuti fuori dal carcere grazie ad un permesso. Giorni in cui, per quanto "liberi", i protagonisti si sentiranno paradossalmente ancora più oppressi che all'interno di un cella.
La storia è quella di cinque detenuti che – dopo tanti anni – cercano di rientrare presso le proprie famiglie (o quello che ne resta), finendo per rimanere inesorabilmente schiacciati dal peso di troppe cose per le quali – sembra dirci Guney – in una società chiusa fra autoritarismo militare e barbari estremismi, chi commette un errore finirà per portarselo appresso (con l'angoscia ed il peso del rimorso) per il resto della sua vita. Non c'è spazio per il perdono in questo film, non c'è spazio per la felicità.
"La tristezza ha innumerevoli tonalità, diverse facce", scrive in apertura lo scrittore-montatore Guney che in "Yol" [La strada], ci mostra senza enfasi, né sconti cosa significa per i curdi vivere in un perenne stato di oppressione culturale, persecuzione politica e repressione fisica. Ci mostra la tragedia di un popolo attraverso la scoperta anche dei suoi lati peggiori, figli di una situazione di miseria materiale e culturale imposta dalle autorità.
Terribilmente attuale, nonostante tutti gli sforzi per legittimare le istituzioni turche, eterne promesse dell'Unione Europea e ultimo baluardo (geografico) prima degli Stati islamici. Un ruolo strategico quello della Turchia, alla ricerca di un difficile equilibrio interno fra "laicità" e "religione" che finisce per ripercuotersi sulle rivendicazioni di autonomia di un popolo scomodo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bravo "man who wasn't there"! anche stavolta ci hai incantato con la tua prosa. Aggiungo solo, se me lo consenti, che le storie di donne raccontate in questo film rappresentano davvero il dramma nel dramma...