lunedì 23 marzo 2009

Au hasard Balthazar - R. Bresson (1966)

Straziante racconto della vita dell'asino Balthazar e malinconica riflessione sulla preponderanza, la forza della cattiveria umana.
Balthazar è un piccolo asinello, regalato per la frivola felicità di un ricco ragazzino. Fin dalle prime scene - come quella del "battesimo" - ciò che emerge è la tendenza (solo dell'uomo, fra tutti gli animali) a fare dell'altro, quando è più debole - può essere un asino, ma anche un essere umano - un gioco, un passatempo, un capriccio, quando non un proprio schiavo. E ad aspettarsi - anzi, a pretendere - naturalmente che questi accetti di buon grado.

La galleria di personaggi umani (maschili) che Balthazar incontra nel corso della sua vita risponde a questa tristissima verità: nel corso della storia, l'uomo ha sempre dato vita a rapporti ineguali basati sulla forza (fisica, delle armi, del denaro,...) e poi avallati dalle leggi, dagli usi, dalle convenzioni che hanno spostato costantemente (e ormai cristallizzato) l'asse del giudizio a vantaggio dei più forti, legittimati a disporre degli altri a proprio piacimento e per di più col favore della norma (sociale, religiosa, morale, giuridica,...).
Bresson si pone (e ci pone) dalla parte dell'oppresso. E lo fa senza inquadrature epiche, frasi ad effetto, dialoghi appesantiti. Lo fa nel suo stile: in maniera compassata, rigorosa, apparentemente distaccata, sicuramente disillusa. Lo fa grazie agli occhi di un asino ed alla sua impossibilità di reagire, alla sua sofferente rassegnazione, che lo porta a subire ogni angheria senza poter fare altro che ragliare, correre, accasciarsi, morire. Non c'è alcuna speranza di sottrarsi al martirio per il povero Balthazar, nessuna speranza di modificare la sua sorte, nessuna possibilità di ribellione, di giustizia. Fra ragazzetti che si divertono a dargli fuoco alla coda, padroni malvagi ed approfittatori che lo costringono alle peggiori fatiche, sfruttatori per interesse ed una generale, continua privazione della libertà, le uniche figure dotate di un certo grado di "umanità" nei suoi confronti sono due donne: Maria e la madre. Entrambe altrettanto deboli, entrambe destinate a rimanere inascoltate o a subire le cattiverie dei più forti.
Ennesimo capolavoro (per quanto, come tutto, discutibile concettualmente) di Bresson, che ancora una volta fa parlare molto poco i personaggi e tanto, tantissimo le immagini ed i suoni. Cinema e filosofia.

sabato 7 marzo 2009

Lasciami entrare - T. Alfredson (2008)

Svezia, estremo nord, primi anni '80 del secolo scorso. Oskar, il 12enne protagonista, vive in un ambiente ovattato dalla neve e dal gelo, ingrigito dall'assenza di rapporti umani - a casa come a scuola - ma al tempo stesso potenzialmente esplosivo, sempre pronto all'eruzione di tutta quella rabbia e delusione soffocate. Deriso da alcuni bulletti per le sue "stranezze" e per la sua totale incapacità di reagire alle angherie quotidiane, apatico ed abituato a subire tutto, anche la tragica pochezza dei suoi genitori, Oskar trova un'amicizia insperata ed insolita in una nuova vicina di casa: una "coetanea" di nome Eli, bruna ed emaciata adolescente che emana un odore sgradevole, è insensibile al freddo e capace di comparire e scomparire all'improvviso. Superate in fretta le prime diffidenze, i due cominciano, pudicamente, a frequentarsi come fidanzatini.

Oskar ci metterà poco a scoprire che Eli è in realtà una vampira imprigionata "da moltissimo tempo" in un corpo da dodicenne e che non ha altro modo per vivere che quello di uccidere e succhiare il sangue altrui. Questo però non lo farà fuggire, anzi. Spronato dall'amica, Oskar matura invece una consapevolezza: per liberarsi, per sfuggire a quel mondo silenziosamente opprimente dovrà crescere, prendersi le sue responsabilità: anche quelle di reagire violentemente alle cattiverie, di amare senza tentennamenti, di partire per sempre. Che è un pò quello che fa Eli, a suo modo, costretta dalle circostanze, senza che le sia data un'altra possibilità, in eterno.

In questo sta un punto di forza del film di Alfredson: il "mostro", per una volta nel genere, non è un mezzo per ricercare l'audience o l'incasso, non è la peste da evitare, il cattivo da uccidere grazie alla mobilitazione dei bravi cittadini e ad un eroe buono e coraggioso pronto ad infilzargli un bastone nel petto.
Il "mostro", qui, è un essere vivente che sa amare, essere tenero, rincuorare, alternare tristezza e felicità, rischiare per amore dell'altro. E nella monotonia angosciante ed oppressiva (dei paesaggi, dei rapporti fra adolescenti e degli adolescenti con gli adulti, delle gerarchie sociali) in cui si svolge questa storia, dove i bulletti spadroneggiano, i poliziotti vanno a scuola a vantarsi delle loro tecniche e della loro intelligenza ed alcolizzarsi pare essere l'unico "strappo" consentito per sottrarsi alle frustrazioni ed alla pochezza ed alle delusioni della vita, questa strana coppia di innamoratini assume un ruolo quasi sovversivo, che infatti li porterà (costringerà) alla fuga. Una fuga d'amore, di libertà, di ribellione.

Niente, ma proprio niente, di questo lavoro fa pensare ad una "strizzata d'occhi" al facile pubblico amante dello splatter, della tensione gratuita, degli horror-vampireschi blockbuster. Se qualcuno è entrato in sala con queste aspettative, è molto probabile che se ne sia uscito dopo pochi minuti. Al contrario, Lasciami entrare (Let the right one in nel titolo originale) procede a ritmo lento e regia formale, ricco di suoni ma privo di musiche dirette all'aumento della suspence.
Sui titoli di coda, più di un dubbio rimane: Eli esiste davvero o tutta la storia è solo un'invenzione della mente di Oskar, grande lettore ed amante della cronaca nera tanto da ritagliare e conservare macabri articoli di giornale? Colui che ci viene presentato come padre di Eli è il "predecessore" di Oskar, anche lui destinato ad affiancare e sostenere (anche uccidendo per lei) l'eterna dodicenne, invecchiandole accanto fino a diventare lui stesso, in punto di morte, nutrimento?
Poetico, delicato, sensibile.
Vincitore di numerosi premi internazionali.

"Mi ameresti lo stesso anche se non fossi una ragazza?"
"Credo di sì"