domenica 8 febbraio 2009

Le diable probablement - R. Bresson (1977)


"Il diavolo, probabilmente". È questa la risposta che il passeggero di un autobus dà alla domanda su chi tenga le redini dell'economia e della politica, su chi sia il vero burattinaio delle povere e stolte marionette umane.
Questa discussione sulle cause della rovina del mondo, che si svolge fra sconosciuti che nemmeno si guardano in faccia, è solo uno dei dialoghi surreali di quest'opera che in effetti assomiglia molto di più ad un lavoro per il teatro che non per il cinema. In cui non esiste una “storia”, bensì solo il rapido ed inesorabile sprofondare verso l'abisso di un giovane studente, ecologista e depresso, tanto presuntuoso quanto intrigante. Ed in cui i dialoghi sono interamente rivolti verso il pubblico – per informarlo, sensibilizzarlo, indottrinarlo direbbe qualcuno.
Ciononostante, il mezzo-cinema si prende la sua rivincita con le inquadrature. Attraverso di esse, emerge molto chiaramente come il giudizio del 70enne Bresson (al penultimo film) sia netto: il pianeta è destinato alla distruzione per inquinamento massiccio ed eccessivo consumo di risorse naturali e l'uomo, abbagliato da falsi problemi che non portano a nulla (le discussioni sulla religione) o paranoie e schemi piccolo borghesi (il ricorso continuo all'indebitamento per permettersi il possesso di status symbol), non riesce a ragionare, a vedere, ad usare la testa. Che infatti, nelle inquadrature di Bresson, è spesso e volentieri lasciata fuori campo.

Chi non ci sta, chi non accetta questo modo di distruggere il bene più importante che all'uomo è stato affidato, il suo habitat, è però altrettanto cieco – nella sua rabbia – di coloro che si propone di contrastare. Emblematica a questo proposito la sequenza della riunione di un collettivo di giovani in cui si incita alla “distruzione”, in cui c'è chi si lamenta perchè le troppe domande di qualcuno impediscono a tanti di passare finalmente all'azione, a fare qualcosa, che non si sa bene cosa sia.

Charles rifiuta anche questo, sa che non servirà a niente. Ma non vede, non trova alternative. E, col suo solito incedere dinoccolato, il suo sguardo misto fra disgustato ed indifferente, il suo distacco da tutto e la sua certezza di superiorità rispetto al resto del mondo, si fa portare via da una disperazione.

Film a tesi, inconfutabili, ma proprio in quanto tali poco utili ad una discussione. E' questione di metodo, non tanto di contenuti.

Siamo proprio sicuri che la maestria registica di Bresson sia ben sfruttata (e non invece sprecata, come tante risorse naturali) nella messa in scena di scenari apocalittici, senza alcuna soluzione - se non l'isolamento ed il suicidio (e dunque, ancora, lo spreco) - per chi vi si ribella, per le menti più giovani, sensibili e capaci?

Le analisi, lucide, spietate, di Bresson non portano ad altre vie - o perlomeno alla loro ricerca - ma restano solo sentenze, letteralmente messe in bocca ai personaggi che le pronunciano freddamente , in maniera distaccata, anonima. Come è tipico per chi non ha più nessuna speranza. E se da un anziano, rigido, disilluso regista ce lo si può aspettare, fa male che questi desolanti giudizi di inutilità e questi distacchi disperati siano messi in bocca ai giovani. Amaro.

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