domenica 23 agosto 2009

La pelote de laine - F. Zohra Zamoun (2006)


Delizioso e terribilmente denso di significato questo cortometaggio di 14' presentato a diversi festival internazionali e premiato al Fespaco.
L'algerina Zohra Zamoun, emigrata in Francia, riesce a mettere in scena in pochi minuti e con pochissimi dialoghi un concentrato di potente ma dolcissima sovversione.
La trama: Fatiha vive assieme al marito e due figli in un condominio di una periferia francese. L'uomo, ogni mattina, andando al lavoro, chiude la porta di casa a chiave, impedendo alla moglile di uscire, con la scusa che si perderebbe perchè non conosce nessuno.
Pur rinchiusa apparentemente senza scampo, Fatiha riesce ad inventare un modo per comunicare con la vicina - francese, anche lei madre - e comincia così a ricrearsi una propria vita. Dagli scambi attraverso i balconi di biscotti, foto dei bambini, maglioni fatti a mano, si arriva alla complicità nella riproduzione delle chiavi del marito. Grazie all'aiuto della vicina, dunque, Fatiha riesce a ribellarsi e sottrarsi alla sua condanna. Inizierà così ad uscire di nascosto, mentre il marito è al lavoro. Porterà i bambini al parco giochi come tutti gli altri e parlerà con le altre madri. Nell'attesa di un cambiamento dell'uomo, che non arriverà mai. Così, un giorno, lui rincasando dal lavoro troverà la casa vuota.

Molto più che da interventi militari, dagli accordi fra Stati, dalla politica degli aiuti o degli embarghi, molto più che da leggi o divieti, contro ogni genere di fanatismi o repressioni (non per forza dettati dalla religione, ma anche - come in questo caso - dall'ignoranza, dalla prepotenza, dalla cattiveria e dal maschilismo imperante), ogni miglioramento della condizione umana dipenderà da coloro che sono vittime di soprusi e dalla possibilità che avranno di ribaltare (i ruoli e le norme), sovvertire (i governi e gli ordini più oppressivi), in definitiva: migliorare (le società di tutti).
Nostro compito - come ci mostra la madre francese di questo "La pelote de laine" - è sostenerli in questa decisa e dolce rivoluzione: degli usi e costumi più beceri, delle abitudini più oppressive ed apparentemente immodificabili, della realtà allucinante in cui viviamo.

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