sabato 31 gennaio 2009

Le promeneur du Champ de Mars - R. Guédiguian (2005)

La morte di un presidente è pur sempre la morte di un uomo. Con i suoi errori, le sue menzogne, le sue banalità e la sua sconfitta inevitabile contro la malattia. Ma anche la sua esperienza e, nel caso di Mitterrand, il suo fascino intellettuale ed il fardello di scelte importanti sulle spalle. E allora, il vecchio che, appoggiato al suo bastone, su una panca del giardinetto pubblico, ripensa ai 14 anni del suo "regno" e, volgendosi indietro, si felicita come un pensionato qualunque perché il suo Paese ha vissuto anni di pace e serenità, contrasta enormemente con l'idea di potere che ci potremmo fare. Mitterrand si considerava l'ultimo "re" di Francia: dopo di lui, dice, sarebbero venuti solo piccoli tecnocrati ed il mondo (e con esso le persone) sarebbero stati definitivamente abbandonati alle regole spietate di un mercato e di una globalizzazione inarrestabili.

Tutto quello che è nelle possibilità del capo di uno dei più longevi presidenti socialisti dell'occidente, a cavallo del crollo del blocco sovietico, pare dunque essere l'affidarsi a qualche articolo sui giornali, a poche dichiarazioni, ad un messaggio augurale per l'anno nuovo, alle chiacchierate con un giovane giornalista-biografo. Tutto questo, nell'ottica di un regista-comunista, come si definisce Guédiguian, non può non risultare sconsolante. E non può non spingere a riflettere: chi ha in mano le redini del potere? Chi decide le sorti delle nazioni, anche importanti ed influenti? Che senso ha parlare di democrazia ed elezioni se poi a tirare le fila sono meccanismi del tutto estranei alle regole del gioco? E se i presidenti, soprattutto quelli eletti con grandi speranze di cambiamento, si riducono infine ad un ben triste autocompiacimento accompagnato da una cinica disillusione sulle possibilità concrete di una politica radicalmente opposta al liberismo sfrenato?


Guédiguian, che ha tratto liberamente la storia da un libro, si sofferma a lungo sui tratti umani del presidente (un credibilissimo ed eccezionale M. Bouquet), tralasciando invece tutto ciò che riguarda il lato decisionale. Non entriamo mai con la macchina nella "stanza dei bottoni", non sentiamo del presidente che qualche discorso pubblico di routine. Dunque il suo è un giudizio tenero, quasi affettuoso, a tratti riverente. E' lo sguardo di un giovane (il giornalista, J. Lespert) che cerca di fare chiarezza su alcuni aspetti della vita e della storia di Mitterrand, finendo però inevitabilmente sopraffatto dal lato culturale e tenero di questo vecchio uomo che sapeva già che sarebbe morto poco tempo dopo aver lasciato la carica. E allora, a lasciare il segno sul giovane, ben più che i racconti della guerra e del governo di Vichy - sui quali otterrà ben poco - sono invece le massime, le pillole di saggezza, la personalità complessa, ferita, intricata di questo uomo.

Volutamente evitata - o meglio, appena accennata nella figura della giovane moglie di J. Lespert - la frattura operata con il Partito Comunista francese - condannato alla scomparsa -, che avrebbe portato il regista probabilmente ad uno sguardo decisamente più critico e severo nei confronti del presidente, tutto il film si concentra invece sul suo declino fisico e politico, fra le accuse dei suoi avversari e l'avanzata dolorosa del cancro alla prostata. Al giornalista fortunato, cui è toccato in sorte di raccogliere l'ultima testimonianza di quest'uomo di potere, non resta che prendere appunti e registrare quasi senza riuscire mai ad interloquire e, questa è l'impressione che ci lascia, senza nemmeno capirci un granché. Preso dalle turbolenze della sua vita (un figlio, una separazione, un nuovo amore), pare via via abbandonare la passione iniziale per la politica e riorientarla verso la propria vita.
"Tu sei troppo sentimentale", ripete spesso al giovane l'anziano presidente. Generazioni diverse, si potrebbe rispondere, l'una discendente delle disillusioni, delle pochezze e degli errori dell'altra.

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