domenica 26 luglio 2009

Alle cinque della sera - S.Makhmalbaf (2003)


Kabul, dopo i bombardamenti e l'attacco americano in seguito all'11/9, le truppe NATO invadono il Paese per “stabilizzarlo”, per rendere definitiva la cacciata dal potere dei taleban ed avviare la “democrazia”. Questo almeno veniva ripetuto dalla propaganda dei Paesi occidentali per legittimare la guerra. Oggi, nel 2009, assistiamo ad una recrudescenza degli scontri, ad un aumento degli sforzi militari dell'alleanza occidentale e delle vittime e delle sofferenze dei civili (peraltro mai cessate in tutti questi anni). Il governo dell'Afghanistan è ancora ben lontano dal potersi dire una democrazia (nonostante le prossime elezioni in arrivo), le condizioni di vita sono ancora terribili, i profughi afgani non cessano di aumentare anno dopo anno e i taleban paiono decisamente rafforzati. I numerosi “errori” nei bombardamenti e le continue sofferenze della popolazione, stanca di decenni di guerre, finiscono inevitabilmente per aumentare la simpatia nei loro confronti.


Il terzo film della figlia del celebre Mohsen (co-sceneggiatore, assieme alla stessa Samira) racconta una piccola storia molto semplice. Noqreh è una giovane donna afgana che frequenta la scuola di nascosto dal padre, fanatico religioso e retrogrado. Ha nel cassetto un sogno piuttosto ambizioso: diventare la prima presidente donna dell'Afghanistan. Cerca di parlare con la gente, di informarsi su quanto succede negli altri Paesi, di trovare e studiare i discorsi dei politici più famosi, si fa fare – grazie alla collaborazione di un poeta suo amico – un servizio fotografico in vista della campagna elettorale. Le ambizioni della donna si scontrano con la realtà. Cacciati di casa dall'arrivo di una massa di sfollati, Noqreh, il padre e la moglie del fratello di Noqreh (morto in un incidente stradale) lasciano Kabul e vagano alla ricerca di un riparo. Per loro tre e soprattutto per il piccolissimo bambino della cognata di Noqreh. Il viaggio – che per il vecchio padre significa anche la ricerca di un posto meno blasfemo della Kabul contemporanea (dove sembra “che Dio non esista più” e le donne girano ormai a volto scoperto, senza paura di farsi guardare dagli uomini) – sarà una fatica ed una sofferenza continua.

E proprio questo della fatica di vivere in quelle condizioni, dalla pena di dover continuamente ammazzarsi per trovare cibo e acqua, pare essere il filo rosso che accomuna tutti i personaggi del film. Allora la religione – il fanatismo – pare essere l'unica risposta. L'affidamento totale ad un Dio onnipotente e la richiesta continua di perdono per i propri peccati finiscono però per rappresentare solo un ulteriore freno ad un miglioramento delle condizioni di vita terrena. In una sorta di circolo vizioso, miseria, ignoranza, fanatismo ed oscurantismo si rinforzano a vicenda, imprigionando un paese intero e impedendo di fatto ogni sua crescita.

Nelle donne e nei poeti – certo non nei violenti bombardamenti e nelle invasioni militari – questo film individua forse un'ultima, certo allo stato attuale debolissima, speranza di rinascita.


Lavoro con luci ed ombre. Le prime: regia, fotografia, interpretazioni, e l'idea di parlare – dal punto di vista di una donna – dell'Afghanistan “liberato” dalle forze NATO. Alcune inquadrature davvero emozionano per la loro dura bellezza: le rovine di Kabul tra cui si muovono le figure azzurre dei disumanizzanti burqa, le gelide montagne, gli spostamenti su un carretto o in bicicletta, unici mezzi di locomozione da cui i fortunati proprietari traggono il proprio sostentamento o la propria libertà.

Le ombre: i dialoghi, una certa semplicità nella scrittura, la palese volontà di dimostrare una tesi. In poche parole, Alle cinque della sera è un film che “parla” troppo. Un film in cui alcune battute messe in bocca agli attori risultano poco credibili, forzate, didascaliche. In certi punti (soprattutto nella prima parte, quella della scuola), pare di assistere ad una lezione sulla condizione della donna nel mondo islamico. Lezione che, liquidata in 3-4 battute di studentesse, rischia davvero di rimanere un po' superficiale ed infastidire lo spettatore. Ma non è questo l'unico caso in cui gli scrittori si mettono sulla cattedra e strumentalizzano i personaggi in maniera troppo palese: in diversi momenti, durante la proiezione, si prova questa sensazione.


Sulla condizione di smarrimento dell'Afganistan e dei suoi abitanti è emblematico l'incontro finale: al bordo di una mulattiera sta seduto un vecchio partito 4 mesi prima per raggiungere Kandahar, dove il Consiglio dei Saggi doveva riunirsi per decidere se consegnare Osama Bin Laden agli americani o meno. Ma la strada è molto lunga, l'asino ormai moribondo ed il vecchio pure. Il padre di Naqreh gli spiega che, mentre lui era in cammino gli americani hanno cominciato a bombardare l'Afghanistan e le forze NATO hanno occupato il Paese. Il regime, odioso, dei talebani è caduto. Ma il popolo afgano, lacerato ed immiserito da decenni di guerre, violazioni dei diritti, lotte interne, ignoranza, fame, avanza a tentoni, ormai senza forze, alla ricerca della sua strada.


“Alle cinque della sera” è il famoso verso della poesia Il cozzo e la morte di Garcia Lorca, che l'amico poeta regala a Naqreh.

Premio della Giuria al Festival di Cannes 2003.

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