domenica 21 settembre 2008

Clando - J.M. Teno (1996)

Lavoro complesso, questo film di Jean Marie Teno, che si apre e si chiude con una camera-car in mezzo a strade trafficate e polverose e che nella parentesi compresa in mezzo ci racconta – con una struttura narrativa densa di flashback, che richiede l'attenzione dello spettatore anche per il continuo mostrarsi di particolari che poi si rivelano importanti – il percorso umano e politico del protagonista: Sobgui, informatico camerunese arrestato e torturato per la contiguità con gli oppositori al "regime democratico" di Paul Biya, quindi licenziato e finito quasi per caso a fare il tassista-clandestino (senza licenza) per campare e mantenere la famiglia.
È un film duro, a tratti molto politico, sicuramente problematico, ma in cui alla fine Teno non esita a prendere posizione. In apertura siamo in Camerun, a metà degli anni '90, ed il fenomeno dei tassisti clandestini – che fa ovviamente molto arrabbiare quelli in regola – pare dilagare. La polizia, però, anziché perseguire i tassisti abusivi, sembra invece essere solidale con loro.
Si tratta probabilmente di uno dei numerosi casi – diffusi dappertutto si viva male e in Africa purtroppo particolarmente frequenti – di illegalità tollerate in quanto sistema di "ammortizzazione sociale", che impedisce l'accendersi di rivolte molto più pericolose per i governi rispetto ad un semplice sciopero dei tassisti regolari che al massimo finirà per aumentare ancor di più la guerra tra poveri e dividere il popolo.
Ancora una volta, dunque, a confermarsi è il fatto che parole quali giustizia, legge, rispetto delle regole siano in realtà vuote e pronte a riempirsi di significati diversi, a seconda delle diverse convenienze di chi ha il potere tra le mani e come unico obiettivo quello di tenerlo.
Sobgui è un giovane sposato, ha un lavoro, è informatico, ma ha anche il grave difetto di fare politica e di farla dalla parte "sbagliata", cioè quella contraria al repressivo presidente. Non compie gesti violenti, ma si limita ad aiutare degli studenti nella stampa di alcuni volantini. Tanto basta per farlo rapire e torturare con bastonate sotto le piante dei piedi.
Rinchiuso in carcere a tempo indeterminato, senza processo né avvocato, viene infine liberato una volta che le elezioni nel Paese sono passate e, dunque, la "democrazia" è stata riaffermata con il voto popolare (che ovviamente ha dato la vittoria al presidente).
Stanco del clima di violenza che si vede attorno, sconvolto per quanto ha subito, per i tradimenti, le soffiate, le vendette, i giochi sporchi e la corruzione, avvelenato da tutto questo, Sobgui decide di partire verso la Germania. Là, precisamente a Colonia, incontrerà un gruppo di attivisti che si occupano della tutela dei rifugiati e cercherà la vicinanza e l'appoggio della comunità camerunese.
Da questo momento, dalla decisione di partire, tutto il film è diviso in due parti: da un lato il presente a Colonia, con l'affetto di una ragazza del gruppo di attivisti e la vicinanza della comunità camerunese e dall'altro il ricordo – che piano piano riaffiora, con tutto il suo carico di angosce – di quello che gli era successo dopo il rapimento e le torture.
A costituire il "filo rosso" che tiene assieme questa struttura intrecciata di flashback sono una leggenda che parla di un cacciatore che lascia il proprio villaggio per cercare cibo e torna sporco, affamato e semi-incosciente, senza aver catturato nemmeno una preda, e l'incubo ricorrente di Sobgui: dentro un furgoncino della polizia, un ragazzo tiene in mano una pistola e la punta contro la guardia che sta guidando. Alcuni prigionieri lo incitano: tira, tira. Un paio di mani – fra cui quella di Sobgui – sembrano invece bloccarlo ed invitarlo a riflettere.
È questa la chiave politica del film: è su questi due binari che si sviluppa tutto il processo di rielaborazione e maturazione del protagonista. Da un lato, la scelta se aspettare che la situazione nel proprio Paese cambi, come fanno molti (per debolezza, convenienza o semplicemente paura) rischiando così che sia il sistema a cambiare la gente, oppure la scelta della lotta e della resistenza armata, contro presidenti dispotici, appoggiati dall'Occidente, ed élites corrotte che costringono la stragrande maggioranza della popolazione ad accontentarsi di un futuro miserrimo e privo di libertà.
Dall'altro, il ragionamento sul senso del "partire", del lasciarsi dietro le spalle un incubo (una prigione all'aria aperta, una repressione continua, come Teno ci dipinge il Camerun di quegli anni) per poi ritrovarsi in un posto che non ti accetta, che ti chiede (attraverso l'imperativo dell'integrazione) di rinnegare tutto ciò che ti appartiene, per poi comunque non accettarti e trattarti sempre e solo come un "negro".
Questi due filoni – la legittimità o meno della ribellione violenta e la rinuncia o meno al proprio mondo per "integrarsi" in un altro – sono affrontati con maturità da Teno che ne fa l'oggetto di interessanti ed animate discusisoni che Sobgui ha rispettivamente con la ragazza tedesca con cui inizia una relazione e con Rigobert, un connazionale più vecchio ed enormemente disilluso, divorziato da una donna tedesca, con dei figli "bravi tedeschi" che non può nemmeno vedere.
Le teorie del socialismo africano, la fragilità del migrante – a maggior ragione se vittima di tortura – sempre alle prese col proprio passato, ma anche gravato delle aspettative che i parenti hanno su di lui, l'ammirazione ma al tempo stesso la rabbia verso l'Europa, il furto continuo (di giovani, di culture, di idee) che l'Africa è tuttora costretta a subire sono altri temi importanti che il film suggerisce senza poterli approfondire.
Jean Marie Teno, documentarista impegnato, alle prese per la prima volta con un racconto, dopo averci mostrato il processo di maturazione di Sobgui, averne sottolineato i dubbi e le incertezze, chiude in maniera piuttosto netta, addirittura spiazzante rispetto alla problematicità messa sullo schermo fino a quel momento. Sobgui decide. Decide di rientrare a casa e che è arrivato il momento di passare all'azione.
"Non voglio più attendere"

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