lunedì 8 dicembre 2008
E' arrivata la felicità - F. Capra (1936)
Le deuxième souffle - J.P. Melville (1966)
Gustave Menda, detto "Gu", impersonato da Lino Ventura, è un criminale di "alta categoria", che torna a Parigi dopo un'avventurosa fuga dalla prigione che costa la vita ad uno dei suoi complici. Lì si ritrova con la sua donna, Manouche, e progetta di partire assieme a lei per l'Italia. Prima di partire, però, gli viene offerto di prendere parte ad un colpo da 200 milioni: si tratta di assaltare un furgone che trasporta platino, uccidere la scorta in moto, impossessarsi del bottino. Gu, che ha un disperato bisogno di soldi, accetta.
Il colpo, che ha luogo su una spettacolare strada di montagna, è ben architettato, grazie anche all'aiuto di un informatore, e riesce alla perfezione.
A Gu non resta che aspettare che le acque si siano calmate per incassare e partire.
È a questo punto che si dimostra nella pratica l'intelligenza e la furbizia del commissario Blot (Paul Meurisse) che, rintracciato fortunosamente Gu nel suo nascondiglio, riesce ad estorcergli la confessione con un inganno. Nella dichiarazione emerge anche il nome dell'ideatore del colpo (Paul Ricci), che viene arrestato. Fatto passare per un traditore dal fetente commissario Fardiano – che invece non riuscirà ad ottenere i nomi degli altri complici nemmeno dopo averlo fatto torturare quasi a morte – Gu riesce ad evadere dall'ospedale giudiziario dove era rinchiuso e ad ottenere la sua vendetta, sia su Fardiano ed i suoi metodi, sia sul fratello di Paul, Jo, vero burattinaio senza scrupoli dell'intera vicenda e dunque meritevole di morire.
Memorabili le sequenze finali della resa dei conti e dell'arrivo (come sempre tardivo) della polizia. Nel farsi morire il delinquente Gu fra le braccia, l'onesto commissario Blot lascia trasparire un senso di amarezza e dispiacere.
La povera Manouche è l'unico personaggio femminile in un mondo perturbato da cattiverie maschili e dunque forse sarebbe l'unico punto di vista differente, purtroppo mai approfondito, del film: alla fine si ritroverà sola, come del resto era scritto nel suo destino sfortunato e a quanto pare inevitabile di "compagna del capo".
Cadenzato dall'alternanza di lunghi silenzi ed improvvisi "scoppi" - di parole, di armi – rigidamente formale nella regia e basato sul principio che "buoni" e "cattivi" sono più che mai trasversali alle categorie di "guardia" e "ladro", Le deuxième souffle è anche il rimpianto di un criminale (J. Giovanni) per un mondo che conosceva bene e che vedeva sempre più deteriorarsi. Non a caso, il "vecchio" Gu è rispettato e tenuto in considerazione elevata da tutti, commissario Blot compreso, tranne che dal giovane membro della banda con cui assalta il furgone, simbolo quasi di uno scontro generazionale e di mentalità.
La retorica è quella tipicamente maschilista e conservatrice dell'onorabilità del gangster (o del poliziotto, del padre di famiglia, etc..) di una volta, che manteneva la parola data e non tradiva gli amici, la stessa dell'uomo forte "che non deve chiedere mai".
Remake nel 2007 (Alain Corneau, con D. Auteuil e M.Bellucci)
venerdì 5 dicembre 2008
Elephant - G. Van Sant (2003)
domenica 30 novembre 2008
Il vento fa il suo giro - G. Diritti (2005)
Vuole parlare in generale questo film di Giorgio Diritti e forse il difetto più grande di questo lavoro – comunque di ottimo livello – si trova proprio nella sua pretesa didascalica e generalizzatrice. O meglio, al mezzo cui questa pretesa (condivisibile) viene affidata: il dialogo, ovvero il mezzo più semplice. Quando alle baite, ai monti di Chersogno ed ai volti, sinceri e credibili proprio perchè sono state scelte persone del luogo, si sostituiscono i dialoghi filosofici e "da professore" di Philippe, ecco che il film finisce per diventare ridondante, appesantirsi, perdere di spontaneità, allungarsi eccessivamente. Sarebbe allora stato meglio lasciare che fossero le immagini - e magari la successiva riflessione dello spettatore – ad affrontare i discorsi (pienamente condivisibili) sulla non-staticità delle culture e sulla necessità di non fermarsi alla "tolleranza" di chi viene da fuori ed è portatore di una storia ed una cultura altre.
Il racconto è ambientato in un piccolo paese ormai spopolato, al confine fra il Piemonte e la Francia. La gente del luogo – una decina di persone stabili, più quelle che vivono in città ma passano le ferie in paese – parla l'occitano e pare tanto legata alle proprie tradizioni quanto rassegnata a vederle scomparire per sempre senza reagire.
Il paese sta morendo, tutti ne sono consapevoli. Eppure, la richiesta di questo ex-professore francese, divenuto pastore perchè "a scuola si insegnano cose inutili ai ragazzi", di trasferirsi dai Pirenei con la moglie ed i tre figli per far pascolare le proprie pecore e fabbricare il formaggio, è accolta con molta diffidenza. C'è chi ha paura perchè non lo conosce, chi teme che "poi arriveranno gli albanesi", chi dice che bisogna prima pensare alla gente (quale?) del paese ed alla conservazione delle sue tradizioni: insomma, meglio preservare rigidamente immutate le usanze e farle così morire, che aprirsi alla contaminazione e garantire così una sopravvivenza dignitosa al paese.
Ad aggravare la situazione, c'è il fatto che sono tutti molto preoccupati per via di alcuni furti nella zona: i ladri si sono infilati in alcune delle case sfitte per undici mesi all'anno ed i montanari, impauriti, si sono ancor più chiusi in se stessi.
Comunque, grazie al coraggio ed alla disponibilità del vice-sindaco, speranzoso di rilanciare il paese, una casa per la famiglia francese alla fine si trova e sono in diversi a dare una mano per ristrutturarla. Dopo un inizio di convivenza all'insegna dei buoni sentimenti, tuttavia, la diffidenza torna a riemergere ai primi screzi. La famiglia, dapprima adottata e benvoluta dai più, viene isolata, ogni gesto non conforme alle rigide convenzioni paesane viene enfatizzato per sottolineare la "diversità" e l'estraneità di quei normalissimi e semplici francesi, trattati ora come "pezzenti", ora come "puzzoni", ora come incapaci di una convivenza civile. La situazione degenera e dai primi rimproveri per via dello sconfinamento delle capre su terreni su cui non era loro concesso di pascolare, si arriva fino ad avvertimenti in stile mafioso. Quando la famiglia deciderà di andar via, saranno in pochi a soffrire per questo progetto di convivenza fallito.
Finale amaro ma inevitabile, viste le premesse: la buona volontà di alcuni deve arrendersi di fronte all'enormità degli ostacoli. Le domande, i dubbi e le riflessioni che portano queste persone provenienti "da fuori" sono troppo per una società moribonda che decide dunque di suicidarsi.Ci vorrà tempo ed un paziente lavoro per cancellare questa bizzarra (e solo contemporanea) idea – perpetuata e sfruttata dal dibattito politico e dal macchiettismo televisivo – per cui le "tradizioni", le "radici", le "origini", le "usanze" sono qualcosa di immutato ed immutabile, privo nei secoli di qualsiasi influenza esterna ed in perenne rischio di annullamento a contatto con le diversità. Al contrario, la storia dimostra proprio che è senza lo scambio, il confronto e l'arricchimento reciproco che le società muoiono nella loro solitaria monoliticità. L'incontro con l'altro non è tolleranza, né estetizzante esotismo: è crescita per ciascuno di noi, è occasione per riscoprire davvero le proprie radici (a partire da uguaglianza, rispetto e solidarietà), non per difenderle nella loro teoria, ma per affermarle e rilanciarle con la pratica.
Pluripremiato in Italia e all'estero, Il vento fa il suo giro (sottotitolo: ...e ogni cosa prima o poi ritorna) ha avuto enormi difficoltà anche di distribuzione, che ne hanno fatto involontariamente un ottimo esempio di film "di nicchia" che si è trasformato in film di successo grazie al passaparola ed in barba alle regole ottuse del mercato italiano.
sabato 29 novembre 2008
Cuore di Vetro - W. Herzog (1976)
mercoledì 26 novembre 2008
Changeling - C. Eastwood (2008)
lunedì 24 novembre 2008
Rocco e i suoi fratelli - L. Visconti (1960)
venerdì 31 ottobre 2008
Favolose narranti. Storie di Transessuali - Porpora Marcasciano
“La vita è imprevedibile: quando i giochi sembrano fatti avviene qualcosa di inaspettato che scombina l’ordine delle cose e se non si è predisposti al cambiamento ci si schianta. Io fortunatamente sono riuscita a rimettermi in gioco, la vita mi ha ritirato in ballo e io…mi sono messa favolosamente a ballare”.
“La transessualità è estremamente disturbante, perché mostra in parte qualcosa che investe alla radice l’esistenza di ciascun essere umano, ciò che si può definire con l’aforisma Panta Rei. Il transessuale incarna infatti la contiguità delle cose l’una all’altra, con il suo corpo materializza quello che il genere umano tende a negare o perlomeno ha bisogno di depotenziare nella sua violenta ineluttabilità: che niente resta uguale per sempre”.
Porpora Marcasciano è sociologa e vicepresidente del movimento italiano Transgender. Ha già pubblicato “Tra le rose e le viole” e “Antologaia. Genere, sesso e cultura degli anni settanta”. Il libro Favolose narranti, storie di transessuali, è edito da Manifestolibri. 191 pagine a un prezzo di 18 euro.
martedì 28 ottobre 2008
Hyènes - D. Diop Mambéty (1992)
Nell'Africa ed in tanti Paesi del cosiddetto "mondo in via di sviluppo" si è fatta esattamente la stessa cosa, con i grandi istituti monetari mondiali ad elargire prestiti enormi, in cambio di mercati sempre più deregolamentati e possibilità per il capitale, le multinazionali ed i beni di consumo di muoversi liberamente e sfrenatamente. Fino al collasso. Fino ad un debito in crescita costante per via di interessi impossibili da rimborsare. Fino all'esclusione dalla vita sociale di tutti coloro che non potevano permettersi – perchè deboli, perchè troppo miseri, perchè meno arrivisti – di rivestire un ruolo "utile" nel mercato (sono solo due: venditore o acquirente).
Tutto questo succedeva nel Sud del mondo ben prima che scoppiasse l'intero sistema capitalista che ora, anche nel ricco Nord, si è dovuto togliere quel velo di apparente seducenza, mettendosi definitivamente a nudo nella sua fragilità. Di questo parla, con toni lirici ed evocativi, campi lunghi e panoramiche che rimandano con evidenza al western ed una colonna sonora enfatica ma mai pesante (musiche composte dal fratello del regista), un grande artista senegalese scomparso dieci anni fa: Dibril Diop Mambety.
La storia narrata è la seguente: Linguère Ramatou è una donna ricca (non a caso) "come la Banca Mondiale", che rientra a Colobane, suo misero villaggio natale (con tanto di municipio pignorato) dopo esserne stata scacciata da ragazza con l'accusa falsa ed infamante di essere una prostituta. Colpevole di questo gesto vigliacco Draman Dramé, gestore della drogheria-bar del paese, attualmente sposato ma, da giovane, amante segreto della diciassettenne bella e (allora) povera Linguère. Quando lei rimase incinta, Draman rinnegò il figlio e, comprando due testimoni con due bottiglie di vino, fece accusare Linguère di prostituzione e la fece cacciare, condannandola per davvero a dover vendere il proprio corpo per vivere. Ora, l'ex-prostituta divenuta donna di mondo (o donna globalizzata, potremmo dire, con tanto di servitrice orientale) ritorna ricchissima e promette 100 miliardi al villaggio, se Draman verrà ucciso.
Gli abitanti reagiscono sdegnati ma lo sdegno dura ben poco. È sufficiente iniettare un po' di liquidità nelle loro povere ed assetate tasche per dare il via ad una spietata (ed ipocrita perchè mai dichiarata) caccia all'uomo ("Il mondo delle iene è arrivato", è il commento soddisfatto della malvagia donna).
Linguère non ha dimenticato l'infanzia difficilissima, non si fa abbindolare dalle false parole dolci del sindaco nei suoi confronti, né da quelle di Draman che le dice di averla fatta partire per il suo bene, perchè potesse arricchirsi altrove. Linguère ragiona solo in termini di vendetta e distruzione (è, anche fisicamente, una donna "d'acciaio", a seguito di un incidente aereo di cui è l'unica sopravvissuta) ed ha i soldi per farlo. Si compra la giustizia per avere quella che ritiene la sua giustizia. ("Il mondo ha fatto di me una puttana. Io farò del mondo un bordello").
A seguito del suo arrivo nel villaggio, tutti si riversano nella bottega di Draman e comprano le merci più costose, in quantità smodate, molti indossano scarpe all'ultima moda provenienti dal Burkina Faso. Draman comincia a capire che la terra gli sta cedendo sotto i piedi e cerca la protezione dell'esercito. Il sergente gli risponde che dovrebbe essere contento perchè ora i soldi girano e sta facendo più affari.
Non manca un richiamo al ruolo della religione in questa corsa al capitalismo sfrenato: in una delle scene più surreali, Draman si trova all'interno di una chiesa, situata sotto il municipio e raggiungibile attraverso "la strada del paradiso"; guarda su una televisione immagini strazianti di giovani donne africane con marmocchi dalla pancia gonfia attaccati ai loro seni rinsecchiti poi alza la testa e vede una statua della Madonna circondata da due nuovissimi ventilatori.
Finisce quasi per sentirsi in colpa: in fin dei conti il villaggio sta aspettando solo la sua morte per entrare in possesso di tutti i 100 miliardi promessi da Linguère e già sul tavolo del sindaco compare un modellino con la Colobane che sarà.
Passata la prima sbornia, il sindaco ed il professore del paese si recano da Linguère e le chiedono di investire per far rinascere il villaggio. Terreni fertili, ricchezze minerarie: Colobane pare avere tutto, se solo ci fosse qualche investimento teso a migliorare la vita degli abitanti, anziché ad arricchire gli investitori. Linguère, nella sua follia (auto)distruttrice non ci pensa neanche: vuole solo il risultato immediato, la vendetta (che in realtà comporta per gli autoctoni anche rinuncia ai propri valori, sconvolgimento delle proprie vite e relazioni sociali,...) in cambio del denaro e del conseguente sviluppo che andrà come sempre a vantaggio di pochi.
Il giudizio finale è già scritto: le avide iene divoreranno (e faranno addirittura sparire) il corpo di Draman. La costruzione di una nuova Coloban può cominciare.
venerdì 17 ottobre 2008
Entre les murs (L. Cantet) 2008
Qua, fortunatamente, il film evita il primo grosso rischio: quello di trasformare l'insegnante in eroe. François non lo è. Insegna in una scuola di periferia, in mezzo ad alunni difficili, che hanno alle spalle situazioni familiari pesanti e sono in buona parte figli francesi di genitori nati in diverse parti del mondo. François è un uomo, un uomo normale, che ha reazioni umane, sbaglia, tituba, è messo in crisi dalla complessità del "mondo" che si trova di fronte ogni mattina.
Può essere il francese – definito scherzosamente ma non troppo da alcuni alunni come una "lingua morta" - a salvare questi ragazzi? François ne pare convinto, anche se deve continuamente alternare il suo ruolo di insegnante ad uno diverso e, se possibile, ancora più complesso: quello di "antenna", in grado di captare non solo i malesseri tipici dell'età adolescenziale, di tutti gli adolescenti, ma anche quelli - più recenti, di "ultima generazione", che hanno portato alle rivolte nelle banlieues - di giovani che comprendono subito di far parte di una classe sociale svantaggiata, che non avrà mai alcuna speranza di competere con i coetanei più fortunati.
Già, perchè anche se il film si chiama – e si realizza interamente – "dentro le mura" (della scuola), tutto ciò che ne resta fuori entra prepotentemente nella vita di questi ragazzi ed al giovane professore risulta sempre più difficile non tenerne conto, far finta che esistano solo i voti sul registro e le note di demerito, benchè un suo collega lo inviti a "non mischiare i ruoli" di insegnante e genitore.
Ma come fare quando il ragazzo più educato e maturo della classe, figlio di cinesi, si vede arrestata la madre perchè senza permesso di soggiorno, mentre il padre deve nascondersi per lo stesso motivo ed il ragazzino stesso forse potrà correre dei rischi una volta maggiorenne? Come fare quando si viene a sapere che il ragazzo più indisciplinato della classe, a casa aiuta la madre, lava i piatti e pulisce ed è continuamente minacciato dal padre?
François cerca di resistere all'urto di questa realtà difficile, di pararne i colpi ricorrendo all'ironia, divertendosi alle battute più sfacciate dei suoi allievi e cercando sempre di insegnare loro, attraverso il francese, i valori del dialogo, del rispetto, della democrazia.
Ma non è facile quando, oltre a situazioni familiari complicate, si aggiunge anche una fragilità sociale spaventosa che spinge i giovani di oggi a trovare nei cantanti rap e negli eroi di colore del calcio francese ben più che dei miti, ma veri e propri modelli cui ispirarsi, veri pilastri cui appoggiare la propria debolezza e le proprie frustrazioni e trasformarle in rivalsa. Di fronte a queste icone in carne ed ossa, il francese (ma anche la matematica, le scienza artistiche e tecniche,...) è ben poco. A che potrà servire quando il linguaggio universale del rap e quello manesco e volgare del machismo bastano per essere ritenuti "boss" della classe?
Lo scontro è evidentemente impari: da un lato gli insegnamenti che i professori validi cercano di passare agli allievi; dall'altro, i modelli che, "fuori dalle mura", raccolgono e commercializzano il disagio sociale, facendone strumento di marketing, esaltando le figure dei duri, degli irrispettosi, dei prevaricatori, per trasformale in mode. È troppo per un professore? Probabilmente sì, ed infatti anche l'ottimo prof. Bégaudeau finisce per essere schiacciato dall'ingranaggio e per dover rientrare negli schemi di giudizio di una scuola che ormai pare decisamente superata dai tempi e dalle mutazioni: note, voti, espulsioni sono minacce difficili da comprendere per chi non riconosce alcun valore all'alternativa, per chi si sente etichettato, fin da adolescente, come un teppista, uno senza speranze ("gentil, pas gentil", dice un professore che già conosce i ragazzi, scorrendo l'elenco della classe assieme ad un insegnante appena arrivato).
Davvero, ci si dovrebbe chiedere, cosa si offre a questi ragazzi – maleducati ed irriverenti, è vero, ma anche terribilmente spontanei e capaci all'occorrenza di un incredibile spirito di solidarietà – per convincerli della bontà della scelta di studiare e rispettare le regole della "civile" convivenza fra adulti? Perchè dovrebbero farlo?
Vincitore a Cannes 2008 della Palma d'oro.
sabato 4 ottobre 2008
Pickpocket - R.Bresson (1959)
Michel, giovane francese di modeste condizioni, influenzato dalle numerose letture sovversive, diventa borseggiatore di professione, dapprima quasi per caso, spinto dalla necessità, e con scarsi risultati, poi, via via, con sempre maggiore convinzione e destrezza. Dopo alcuni furtarelli di poco conto e dopo aver rischiato più volte di essere arrestato, egli incontra un borseggiatore professionista che gli fa da maestro. I due, in compagnia di un terzo complice, finiranno per compiere "imprese" sempre più audaci, ma tutti finiranno presi dalla polizia.
Dunque, questo è il giudizio finale di Bresson? I ladri sono cattivi – benché filosofi e colti, come Michel – e dunque stanno in galera mentre gli onesti sono quelli che stanno fuori? Neanche per sogno. La storia di amore ed affetto che si intreccia con il progredire della carriera criminale di Michel, infatti, pare ribaltare, o perlomeno sospendere, il giudizio. Per tutto il racconto, Jacques, unico amico di Michel, lo rimprovera per il suo comportamento e le frasi irriguardose nei confronti della polizia.
Cerca di "riportarlo sulla retta via", di dargli dei numeri di persone a cui chiedere un lavoro e si innamora di Jeanne, povera ragazza abbandonata dalla famiglia nonché vicina di casa della madre di Michel. Non solo. Jacques va anche a trovare quest'ultima. L'anziana signora, gravemente malata, ormai moribonda, è stata infatti quasi abbandonata dal figlio che, forse troppo intento a pensare ai suoi libri, alla sua carriera, ai suoi esercizi di destrezza per allenare le dita, non la va mai a trovare ma si limita a farle avere dei soldi (dopo che, prima di diventare borseggiatore, gliene aveva addirittura sottratti). Insomma, Jacques e Michel sembrano diametralmente opposti e pare non esservi dubbio su chi dei due sia dalla parte della ragione e chi del torto.
Tuttavia, ecco che sul finire del film – dopo che Michel rientra dall'Inghilterra dove aveva passato due anni, "facendo colpi bellissimi" e poi scialaquando tutto - si viene a scoprire che Jeanne ha avuto una bambina da Jacques, il quale - forse per vendetta del fatto che Jeanne si rifiutava di sposarlo - se n'è andato improvvisamente, senza lasciare tracce di sé.
Michel decide di farsi carico di Jeanne e della bambina: si trova un lavoro, un lavoro vero, con tanto di divisa e busta paga e le cose sembrano anche funzionare. Senonchè, finirà per cedere di nuovo, dimostrando che la sua abilità e la sua filosofia erano in realtà degenerate in mania, ossessione, in un'incapacità di farne a meno della quale egli stesso – una volta dietro alle sbarre – si rende finalmente conto, pentendosi. Dunque, perchè vivere?, si chiede Michel. La risposta nell'abbraccio e nei baci finali attraverso le sbarre. Peccato, conclude Michel, che per capirlo abbia dovuto percorrere una strada così lunga.
Partito come teorico del ribaltamento delle prospettive da cui guardare il mondo, convinto del guadagno che una società avrebbe tratto nel permettere a certi uomini geniali di essere al di sopra della legge, tanto da discorrerne più volte anche con un ispettore di polizia che lo sospetta, Michel pare infine trovare la risposta al suo malessere in quella "normalità" che prima tanto evitava.
La regia di Bresson è come al solito asciutta e rigorosa, attentissima ai particolari, che rivestono – in questo come in altri lavori – un'importanza del tutto decisiva. Invece, a differenza che in altri film, come "Un condannato a morte è scappato", in cui era il fuori campo a parlare (con tutto quello che ne può guadagnare la suspence), qui le azioni principali – i borseggi – si svolgono tutte nel fuori vista, mentre tutt'attorno regna la normalità. A restituire la giusta importanza agli abili gesti dei pickpockets, si alternano alle visioni d'insieme i particolari: dita affusolate e sinuose, tasche di giacche, asole, giornali, borsette che si aprono.
Ispettore: "Caro signore, ma questo è il mondo al contrario"
Michel: "Visto che è già al contrario, questo rischia di rimetterlo a posto"
mercoledì 1 ottobre 2008
Hèrèmakono (Aspettando la felicità) - A: Sissako (2002)
Sissako mette in scena questa tragica realtà africana senza nascondere la sua grande malinconia per una diaspora che sottrae al continente, giorno dopo giorno, forze vitali, cultura, tradizione, e certamente anche felicità. Quella felicità che i giovani africani (ma non solo) aspettano che si presenti loro in posti come Nouadhibou, sotto forma di una barca per l'Europa o di una qualunque altra opportunità di partire.