domenica 23 marzo 2008

Central do Brasil (W. Salles) - 1998

Ancora un film sudamericano che parla di un viaggio. E ancora un viaggio che è ben più che un semplice spostamento fisico, ma è ricerca, crescita, rabbia, sofferenza.
Dora è una professoressa in pensione, che scrive lettere per gli analfabeti della stazione di Rio de Janeiro per arrotondare. Ha avuto una vita difficile e le cicatrici sul suo carattere non esitano a manifestarsi. Quando la madre di Josué, che le si era rivolta per scrivere una lettera al marito che non vedeva da anni, muore investita da un autobus, Dora non esita a vendere il bambino ad una coppia di loschi trafficanti e, con i soldi incassati, si compra una televisione. Tornerà sui suoi passi e deciderà di accompagnare il piccolo – ma fin troppo sveglio – Josué alla ricerca del padre, nel Nord est del Brasile.
È una storia di solitudini, di povertà e miserie personali, affogate nell'alcol o nel mare della nostalgia ("Ho nostalgia di tutto", dice Dora nella sequenza finale, nell'unica lettera che non scrive su incarico di altri). È una storia di alcolizzati, orfani, abbandonati, solitari, di un paese con enormi problemi, di una religione come Valium sociale, di persone senza possibilità di riscatto. Ed è per questo che pare fin troppo lieto e commovente il finale, con l'abbandono (l'ennesimo) di Josué da parte di Dora, questa volta "a fin di bene". Per farlo crescere con i fratelli appena ritrovati, in un ambiente meno disumanizzante della metropoli di Rio.
È un continuo progredire verso il climax finale (il ragazzino che insegue l'autobus sul quale si sta allontanando Dora), questo film di Salles. Accompagnato da una bella e struggente colonna sonora, Central do Brasil lascia in sottofondo le problematiche brasiliane (rispolverandole solo quando utili alla trama) e si concentra sull'avvicinamento dei due protagonisti che riescono, nel corso di questo viaggio faticoso e ricco di avventure, a superare un'iniziale diffidenza reciproca, a mettersi in gioco senza più le iniziali paure, a lasciare in un angolo le disgrazie della propria vita, a "crescere" assieme.
Il risultato è un film che certo non eccelle in originalità, né in spunti di riflessione, ma che si fa apprezzare soprattutto per alcune sequenze. Ne ricordiamo solo alcune: quelle nella stazione di Rio (i pendolari che scendono dal treno, l'affollamento, l'assalto ai vagoni, il furto concluso in tragedia, le passeggiate di Dora in mezzo alla folla o la corsa di Josué) e quella della lettura da parte di Dora della lettera del padre di Josué: uno dei pochissimi casi in cui, durante un dialogo, l'inquadratura non è d'insieme ma passa da un volto all'altro, come a volerne cogliere le sfumature, nel momento di unica "presenza" di questo personaggio sempre assente, alcolizzato, ma che tutti vorrebbero vicino. Come un padre.

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