domenica 25 maggio 2008

La noire de... - O. Sembène (1966)

Pare si tratti del primo lungometraggio diretto da un regista dell'Africa nera. Siamo nel 1966, pochi anni dopo la decolonizzazione del Senegal (1960), ma ancora le conseguenze dei rapporti di forza fra imperi coloniali e terre sottomesse non cessano di farsi sentire ed il padre dei registi africani, Ousmane Sembène, li affronta senza ipocrisie nè sensi di inferiorità.
Diouana è una giovane senegalese che abita a Dakar, ancora sotto l'occupazione francese. Tutti i giorni, con il suo carico di dignità, ma anche di disperazione, si mette in cerca di un lavoro, bussando a tutte le porte e ricevendo sempre dei no. Un giorno, mentre è sul marciapiede assieme ad altre signore, tutte in attesa di un'offerta, la avvicina una donna francese e le chiede di lavorare per lei.
Dioumana è ben felice di lavorare "dai bianchi", racconta subito la sua fortuna a tutto il quartiere e compra da un bambino una maschera intagliata nel legno per donarla alla sua nuova padrona. Felice del lavoro di badante dei 3 figli della coppia francese, Dioumana è addirittura entusiasta quando questi le propongono di seguirla in Francia, dopo la decolonizzazione.
Pur attratta da un giovane compaesano, Dioumana sogna la Francia sulle riviste di moda, si chiede come sarà la vita "alla francese" e non sta più nella pelle all'idea di visitare quel paese.
Una volta giunta ad Antibes, Costa Azzurra, la vita sarà ben diversa da come se l'era immaginata.
La padrona, forse incattivita dall'aver perso un ruolo di prestigio sociale in Africa ed esser tornata ad una vita mediocre in Francia, la tratta come una schiava, affidandole non solo la cura dei bambini ma un po' tutti i lavori domestici.
Esasperata, mai pagata, di fatto reclusa fra le quattro mura senza poter mai vedere la Francia sognata, se non di notte, dalla finestra, la giovane ragazza si suicida nella vasca da bagno.
Sembène tocca temi fondamentali e, purtroppo, ancora attuali. L'idea di una superiorità di un essere umano (bianco) su un altro essere umano (non-bianco). La dignità e la speranza dell'indipendenza africana soffocata e repressa da una povertà economica che costringe gli abitanti dell'Africa ad una perpetua schiavitù di fatto. La scarsa considerazione per la capacità e la volontà altrui di esprimere se stesso, al di là del ruolo all'interno del quale ognuno è rinchiuso dalle condizioni di partenza. La violenza senza scontro fisico, la schiavitù senza reclusione.
Dioumana diventa allora non solo la serva tuttofare della famiglia francese, ma anche il fenomeno da baraccone, la curiosità da mostrare agli amici per farsi belli e interessanti, con qualcosa (almeno del loro passato glorioso) da raccontare, per mostrarsi "persone di mondo", come se quella donna fosse un soprammobile da osservare o un pupazzo da sbaciucchiare a capriccio, oppure una cuoca di cucina etnica (tra l'altro ai padroni francesi - ci dice Dioumana - il riso senegalese faceva schifo quando erano in Senegal).
La maschera di legno, comprata al bambino, regalata alla padrona e sistemata, dapprima nella bella casa coloniale, fra altri oggetti locali e, poi, al muro bianco del modesto appartamento ad Antibes è un simbolo fortissimo, una linea rossa che scorre per tutto il breve (62min.) film di Sembène.
La tristezza di quella maschera appesa al muro, solitaria, è paragonabile al percorso di Dioumana, che di colpo abbandona tutti i sogni da viaggiatrice per trovarsi a subire un ruolo che fa doppiamente male, in quanto viene dato per scontato e mai messo in discussione. Tutte le volte che la ragazza accenna una ribellione, infatti, viene rimproverata per la sua ingratitudine, come se il fatto di servire una coppia di europei e dunque di avere assicurati il vitto e l'alloggio fosse sufficiente a giustificare la sostanziale perdita della propria libertà.
Quando, di fronte alle sue crisi sempre più evidenti, il padrone offre dei soldi alla ragazza, è davvero troppo e Dioumana decide di farla finita. I giornali parleranno di "nostalgia".
Sembène ci suggerisce invece che la risposta va ricercata altrove e, probabilmente, una plausibile sta in quel giovane che Dioumana aveva deciso di lasciare al momento di andare in Francia. Fiero patriota e sostenitore della libertà dei popoli africani, egli non pare per niente convinto della bontà della scelta di rinunciare ad un presente povero ma libero (in quegli anni, forse, si respirava in Africa un'inevitabile aria di libertà), per sottomettersi agli ordini dei vecchi dominatori, per quanto con alcuni apparenti vantaggi.
La libertà individuale e la parità fra gli uomini – pare lasciarci come messaggio Sembène – vale molto più di qualunque offerta in danaro. Così, quando il padrone bianco tornerà a Dakar a restituire alla madre di Dioumana la valigia con i vestiti della figlia suicidatasi e la maschera di legno (di cui si riappropria subito il bambino), l'anziana donna rifiuta sdegnata la generosa offerta riparatoria in franchi. L'uomo, spiazzato, si trova così in preda ai suoi fantasmi ed al suo terrore per ritrovarsi improvvisamente in un mondo che credeva di dominare fino a poco prima, ma del quale evidentemente non conosce i parametri culturali per poterlo affrontare su un piano di parità. E, rendendosi conto che né il potere politico e militare, né "l'argent" gli donano più la superiorità di cui ha bisogno per sentirsi forte, tutto d'un tratto ha una paura fottuta e scappa, scappa, scappa, voltandosi continuamente indietro, terrorizzato. Da un bambino con una maschera di legno.

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