lunedì 16 febbraio 2009

Sweet sixteen - K. Loach (2002)

Periferia di Glasgow, classi sotto-proletarie, giovani chiamati ad avere responsabilità e preoccupazioni da adulti, senza esserlo. Liam è il quasi-sedicenne di cui Loach sceglie di mettere in scena la storia, ma certo un film non dissimile sarebbe potuto uscire se la mdp avesse seguito l'amico Pinball, o la sorella Chantelle.
Loach, dunque - ed il suo sceneggiatore Laverty - decidono di occuparsi ancora di esclusi, emarginati, persone senza speranza di essere coinvolte dal benessere e dalla ricchezza che, nel 2002, parevano dover trasformare l'intero Vecchio Continente in una gigantesca, uniforme, agiata classe borghese.
Quella di Loach è perciò contro-informazione, ancor prima che cinema. Un'informazione che dà voce a chi tradizionalmente non l'ha. Dunque, se la visione non è rassicurante - non sarà un film a cambiare le cose - possiamo ritenere che si tratti perlomeno di un buon esercizio che i nostri politicanti, opinion makers, editorialisti di redazioni mainstream dovrebbero ripetere spesso. Giusto per sapere che di sicurezza, certezza, tranquillità non ne necessitano solo le classi ricche, i cittadini a tutti gli effetti.


Liam ha la madre adorata in carcere per problemi di droga, una sorella (con un figlio) che odia la madre, un padrino spacciatore che lo massacra di botte, un solo vero amico, Pinball, che tuttavia non esita - per troppo amore - a mettersi in mezzo ai suoi piani e rovinargli tutto. Liam ha un affetto morboso per la madre, che vede solo come vittima del perfido compagno Stan, mentre in realtà si tratta di una donna debole e schiacciata, incapace di vivere una vita indipendente, serena, come vorrebbe Liam che ha un solo sogno: comprarsi un prefabbricato sul fiume per andarci a vivere con la madre appena uscirà di prigione.
Così, dopo aver rubato una grossa quantità di eroina a Stan, Liam si butta sul mercato, in società con l'inseparabile Pinball. In poco tempo arriveranno a permettersi il prefabbricato e addirittura ad impensierire il boss locale che, per questo, li invita ad entrare nella sua squadra.
L'Al Capone di turno, però, ci metterà poco a capire che il vero leader è Liam, mentre Pinball è solo una spalla e, così, impone al pupillo di sbarazzarsi dell'amico. Pinball si vendicherà avventatamente.


Ormai nelle grazie del boss, Liam comincia a conoscere i piaceri che può garantire una simile protezione: quando sua madre esce dal carcere, il boss gli concede una meravigliosa casa nel quartiere dei ricchi e si preoccupa di levare dai piedi il compagno della donna. Passata la festa, però, dopo che per qualche secondo si era forse immaginato di poter riunire tutta la famiglia (madre, Liam, sorella e nipotino), in una bella casa borghese, il risveglio sarà brusco.



Piuttosto piatto registicamente, Sweet sixteen ha l'elemento più interessante proprio nella figura di Liam, giovane uomo senza futuro, ma disposto a tutto pur di conquistare un amore impossibile: quello di sua madre.

Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes.

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