domenica 20 luglio 2008

Un condamné à mort s'est échappé - R. Bresson (1956)

Tratto da un racconto autobiografico, Un condannato a morte è fuggito (o "Il vento soffia dove vuole", secondo il titolo alternativo) è un film che riesce a creare pathos pur senza mettere mai in dubbio il finale (del resto, il protagonista è la voce narrante) e partecipazione ed immedesimazione dello spettatore pur senza mai mostrare i momenti più duri e violenti, anzi nascondendoli volutamente con fuori vista, fuori campo e dissolvenze.
Bresson lavora molto con il sonoro. La macchina è sempre assieme al protagonista e la maggior parte del racconto si svolge nello spazio ristretto della cella oppure davanti ai lavandini del carcere: è il fuori campo a "parlare". Si avverte l'avvicinarsi delle guardie con un rumore di chiavi sbattute contro la ringhiera delle scale, oppure di passi che si avvicinano dietro la porta. L'azione finale si decide ascoltando i passi del soldato che fa la guardia, oppure il cigolio della bicicletta della ronda, sfruttando lo sferragliare del treno per coprire la fuga. La lenta manomissione della porta è messa in pericolo dal silenzio nelle celle, coperto affannosamente da qualche colpo di tosse. Le comunicazioni e la solidarietà fra prigionieri - anche se qualcuno pare essersi rassegnato al proprio destino - nascono da colpi di nocche sul muro della cella oppure da bisbiglii negli spazi comuni del bagno.


Fontaine è un prigioniero politico, incarcerato dai nazisti occupanti la Francia. Non è un eroe, semplicemente è un uomo che non si arrende, che ha ancora voglia di lottare, che ama mettersi alla prova, ingegnarsi, come se quello della fuga – peraltro maldestramente tentata anche all'inizio del racconto – fosse un gioco, una sfida di intelligenza e scaltrezza e non l'unico modo per sottrarsi ad un'inevitabile fucilazione.
Tanto che, una volta architettato l'ingegnoso piano, Fontaine non si decide mai a metterlo in pratica, come se gli mancasse davvero il coraggio di portare a termine la sua opera. Non siamo dunque in presenza nemmeno di uno spavaldo prigioniero che fa leva sulla sua forza fisica per fuggire. Fontaine, anzi, pare tanto geniale e meticoloso nella preparazione, quanto piuttosto impacciato nella messa in atto. La fuga ha successo solo perchè Jost, giovane compagno di cella dell'ultim'ora (e del quale all'inizio Fontaine non sa se fidarsi o meno, ma al quale è quasi costretto a raccontare tutto), decide di unirsi al progetto, rivelandosi fondamentale.



Regia semplice, rigorosa, che dedica grandissima attenzione ai particolari: il mozzicone di matita, il cucchiaio, i ganci della lanterna, i bigliettini scambiati nel bagno, il fil di ferro: tutti oggetti fondamentali alla fuga ed ai quali viene attribuita la giusta importanza.
Bresson costruisce così, con un sonoro efficacissimo ed inquadrature tanto semplici quanto azzeccate, un piccolo capolavoro del genere. Premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1957.


Vicino di cella: "Credi nei tuoi ganci e nelle tue funi, ma in te dubiti"
Fontaine: "Il difficile è decidersi"

1 commento:

citroglicerina ha detto...

ti va di linkarci?
http://www.showfarm.com/web/next/home
nikolas