martedì 25 agosto 2009

Il cielo sopra Berlino - W. Wenders (1987)

Chissà, forse nemmeno lo stesso Wenders si aspettava che questo film diventasse così conosciuto (è probabilmente quello per cui è più universalmente noto), apprezzato (da taluni in verità odiato), recensito.
Si tratta - è lo stesso regista che ce lo dice - di un lavoro con una sceneggiatura scarna ed improvvisata (impreziosita ed ispirata dalle poesie di Rilke), in cui la decisione di creare il personaggio che sarà poi affidato a Peter Falk è intervenuta solo a riprese in corso, e che non nasconde soprattutto il fatto che manca - e si vede - un'idea di fondo. Il cielo sopra berlino sembra esattamente questo: un film che non sa dove vuole andare. Un peccato? No, tutt'altro.
Infatti, per quanto un pò scollegate tra di loro, le idee geniali non mancano. Sia di scrittura: il vecchio poeta che cerca Potsdamer Platz ricordandola bella e splendente prima della guerra (lì c'era il caffè, lì ci deve essere un tabaccaio,...), mentre ora è ridotta ad un ammasso di calcinacci; oppure il monologo interiore della trapezista disperata dopo aver saputo che il circo chiuderà; il dialogo iniziale fra i due angeli che si raccontano quello che hanno osservato ed annotato su un notes, con un'attenzione incredibile per le piccole cose, i particolari importanti della vita.
Sia di regia (premiata a Cannes): alcune scene, per come sono state girate - soprattutto quelle dentro alla biblioteca di Stato -, sono da antologia del cinema; superbe anche le inquadrature degli angeli - appollaiati, solitari, sulla Colonna della Vittoria - che riflettono ed osservano la vita umana che scorre sotto di loro. Interessante anche la fotografia, con la scelta di girare in seppia all'inizio, nel mondo degli angeli, e a colori nella seconda parte, nel mondo umano, ma con due eccezioni (in fondo sono mondi non così scollegati...)
Ma il vero punto di forza di questo film sta nella sua capacità di evocare: i fantasmi passati ma non ancora sopiti (la guerra con le sue atrocità, i bombardamenti, i morti, l'onnipresente muro che divideva in due la città e l'Europa intera), le difficoltà di una popolazione in via di arricchimento materiale, ma provata nella sua spiritualità, fatta di persone sole, che non comunicano mai (Il cielo sopra Berlino è un film fatto, con poche eccezioni, quasi interamente di monologhi e riflessioni, privo di dialoghi). Ma, allo stesso tempo, è un film che riesce, in mezzo a queste macerie, sotto a questo orripilante muro, con tutte queste solitudini, ad evocare anche la speranza. Una speranza incarnata dai bambini (che riescono a comunicare tra di loro e anche con gli angeli) e dall'amore. E se i bambini sono protagonisti anche grazie alla poesia scritta da P. Handke (co-sceneggiatore con Wenders) e ripetuta spesso durante il film, come a sottolineare la forza della volontà e dell'ingenuità di questi angeli in carne ed ossa, è proprio per amore della trapezista con le ali che avviene la svolta decisiva. Daniel (B. Ganz) infatti - che era comunque già stanco dell'immaterialità, stanco di esistere "da sempre" e non poter mai godere dell'ora - si decide a diventare umano. A scavalcare "il muro". Per poter amare.
Lo aiutano dapprima l'amico angelo Cassiel (O. Sander) - che invece resterà angelo e continuerà a cercare (senza sempre riuscirci) di influire positivamente sulle depressioni e debolezze umane - e, poi, un istrionico Peter Falk che, impersonando se stesso - a Berlino per girare un film su Hitler - ammette che anche lui, una volta, era un angelo ed ha scelto di fare il grande passo, per il piacere di mangiare un panino o "di sfregarsi le mani quando hai freddo".

Film delle bellissime immagini e dell'amore (ingenuo, angelico, da bambino, dunque autenticamente profondo) per le piccole cose.
Finale un pò tirato via, ma viste le premesse non poteva che essere così.

Nessun commento: