
Si tratta - è lo stesso regista che ce lo dice - di un lavoro con una sceneggiatura scarna ed improvvisata (impreziosita ed ispirata dalle poesie di Rilke), in cui la decisione di creare il personaggio che sarà poi affidato a Peter Falk è intervenuta solo a riprese in corso, e che non nasconde soprattutto il fatto che manca - e si vede - un'idea di fondo. Il cielo sopra berlino sembra esattamente questo: un film che non sa dove vuole andare. Un peccato? No, tutt'altro.
Infatti, per quanto un pò scollegate tra di loro, le idee geniali non mancano. Sia di scrittura: il vecchio poeta che cerca Potsdamer Platz ricordandola bella e splendente prima della guerra (lì c'era il caffè, lì ci deve essere un tabaccaio,...), mentre ora è ridotta ad un ammasso di calcinacci; oppure il monologo interiore della trapezista disperata dopo aver saputo che il circo chiuderà; il dialogo iniziale fra i due angeli che si raccontano quello che hanno osservato ed annotato su un notes, con un'attenzione incredibile per le piccole cose, i particolari importanti della vita.
Sia di regia (premiata a Cannes): alcune scene, per come sono state girate - soprattutto quelle dentro all


Ma il vero punto di forza di questo film sta nella sua capacità di evocare: i fantasmi passati ma non ancora sopiti (la guerra con le sue atrocità, i bombardamenti, i morti, l'onnipresente muro che divideva in due la città e l'Europa intera), le difficoltà di una popolazione in via di arricchimento materiale, ma provata nella sua spiritualità, fatta di persone sole, che non comunicano mai (Il cielo sopra Berlino è un film fatto, con poche eccezioni, quasi interamente di monologhi e riflessioni, privo di dialoghi). Ma, allo stesso tempo, è un film che riesce, in mezzo a queste macerie, sotto a questo orripilante muro, con tutte queste solitudini, ad evocare anche la speranza. Una speranza incarnata dai bambini (che riescono a comunicare tra di loro e anche con gli angeli) e dall'amore. E se i bambini sono protagonisti anche grazie alla poesia scritta da P. Handke (co-sceneggiatore con Wenders) e ripetuta spesso durante il film, come a sottolineare la forza della volontà e dell'ingenuità di questi angeli in carn

Lo aiutano dapprima l'amico angelo Cassiel (O. Sander) - che invece resterà angelo e continuerà a cercare (senza sempre riuscirci) di influire positivamente sulle depressioni e debolezze umane - e, poi, un istrionico Peter Falk che, impersonando se stesso - a Berlino per girare un film su Hitler - ammette che anche lui, una volta, era un angelo ed ha scelto di fare il grande passo, per il piacere di mangiare un panino o "di sfregarsi le mani quando hai freddo".
Film delle bellissime immagini e dell'amore (ingenuo, angelico, da bambino, dunque autenticamente profondo) per le piccole cose.
Finale un pò tirato via, ma viste le premesse non poteva che essere così.
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