sabato 11 aprile 2009

Betty - C. Chabrol (1992)

Betty (M. Trintignant) è una giovane e vivace moglie di un ricco ed insipido rampollo, famiglia borghese ed immanicata. Già due volte madre, Betty pare davvero inserita a forza nel quadretto deprimente e protocollare che caratterizza la sua vita familiare (con suocera e generi annessi), priva di ogni dialogo che non sia insulso e scandita da regole e distanze (rese benissimo da Chabrol attraverso la disposizione in scena di oggetti e persone) che non si possono superare.
Particolarmente votata al tradimento, e vittima di un profondo turbamento interiore - del quale l'ebete (ma in fin dei conti anche buon) marito non si accorgerà mai - Betty, in un vortice autolesionistico e distruttivo, spinge la sua audacia talmente in là da donarsi all'amante proprio nell'aristocratico salotto di casa, mentre marito e suocera sono a teatro. Dopo aver aperto addirittura la porta "per sentire le bambine" (o, più perversamente, per farsi sentire dalle bambine), qualora si dovessero svegliare. Il rientro anticipato dei parenti e tutto quello che ne consegue (allontanamento dalla villa familiare, rinuncia a vedere le figlie,...) dà il via alla seconda vita di Betty, che tocca il fondo in più occasioni, ma trova nell'assistenza offertale dalla ricca e generosa Laure (S. Audran) l'opportunità per risalire.
Raggiunto (quasi in apertura) il massimo della disperazione all'interno di un nebuloso ristorante (Le Trou) in compagnia di sconosciuti tutti piuttosto folli, sottolineato questo momento con un movimento di mdp quasi ad investire e schiacciare il volto di Betty in lacrime, la storia procede su un doppio binario. Il piano temporale del presente ci descrive la tormentata risalita di Betty (sottolineata da carrellate avanti e indietro, panoramiche a dx e sx,...), mentre i flash-back ci riportano indietro, alle cause del suo turbamento, portando lo spettatore quasi a braccetto (passato e presente) verso l'atroce finale.


Tratto da un romanzo di Simenon, Betty è l'ennesimo lavoro di Chabrol che descrive in luce perlomeno inquietante il mondo femminile. Come in Les Biches, come in La femme infidèle, l'uomo è, se non lasciato in secondo piano, comunque rappresentato e fatto agire in funzione di ciò che Chabrol vuole evidenziare della donna, cioè a dire tratti come la complessità, la tendenza all'auto-distruzione, la rivalità e la competizione tra donne, un'idea del sesso come auto-punizione, ma al tempo stesso come mezzo per raggiungere dei fini. Un'immagine nel complesso molto problematica, per non dire piuttosto desolante che, per fortuna, Chabrol si limita come suo solito a descrivere, indagare, ma senza mai affibbiare giudizi moralistici, nè sottolineare ed enfatizzare ciò che piano piano viene a comporre la storia e la caratura dei personaggi. Anzi, i dialoghi, le espressioni e gli ambienti di "Betty" sono sempre sotto tono, quasi asettici, in certi casi - si pensi al ristorante Le Trou ed ai suoi bizzarri habitués - talmente distanti ed inconsistenti da sembrare quasi sogni, frutto dell'immaginazione alimentata dall'alcol di una Betty sulla via dell'(apparentemente) inesorabile brutta fine. Ma ecco che, quando la protagonista pare davvero sull'orlo del precipizio, quando sembra aver imboccato la strada senza uscita dell'alcolismo e perso ogni amor proprio, avviene una svolta. Ed avviene da un letto elegante di una camera d'albergo per ricchi, giusto a fianco della protettrice-salvatrice che, suo malgrado e certo inaspettatamente, finisce per donare la sua vita alla "resurrezione" di Betty.


Quello della sostituzione è anch'esso un tema ricorrente di Chabrol (si pensi, ancora, a Les Biches): in questo caso, la personalità disturbata di Betty viene fatta derivare da una scena di violenza sessuale a cui aveva assistito da adolescente. Lungi dallo spaventarsi e correre a chiamare qualcuno, la ragazzina Betty pare anzi affascinata da quell'atto sessuale ("mi sembrava che le cosce parlassero") e per tutta la vita rincorrerà l'immagine di quella ragazza violentata, cercando in qualche modo di immedesimarsi e riprodurre la scena. Sarà l'opportunità che le viene fornita su un piatto d'argento da Laure a permetterle di dismettere i panni della persona che subisce violenza, che quasi la cerca per provarne dolore, e vestire invece quelli di chi la violenza (in questo caso addirittura una morte) la provoca.
In un mondo che, da sempre, si basa sulla costruzione e la perpetuazione di rapporti ineguali di forza e di potere, sulla divisione fra chi subisce e chi perpetra violenza, per la sofferenza di molti ed il piacere di pochi, ci dice Chabrol, tertium non datur: la "mano invisibile" della sorte viene a portare un pò, non già di giustizia, bensì di vendetta. Un rischio, quello della vendetta, che, aggiungendo un pò di "pepe" all'insieme, non ne scalfisce minimamente le fondamenta. Ingiustizia, prevaricazione, cattiveria e cinismo (ben rappresentato dalla metafora dei pesci morti nell'acquario) possono continuare a modellare le nostre società. Solo, ogni tanto, chi è abituato a subire, può afferrare l'opportunità di passare dall'altra parte della barricata.

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