domenica 11 gennaio 2009

Il verdetto - S. Lumet (1982)



Per chiedere alla giuria popolare di condannare i medici di un ospedale cattolico, accusati di aver ridotto una donna incinta in stato vegetativo per un'incredibile negligenza, l'arringa finale dell'avvocato Galvin fa appello alla giustizia dei cuori. Un pò poco.

Certo, tutto pare davvero volersi mettere di traverso per il povero avvocato (P. Newman), divorziato e sull'orlo della bancarotta, 4 cause (tutte perse) negli ultimi 3 anni ed una dedizione poco invidiabile all'alcol. Questa che gli viene offerta dal vecchio maestro ed ora amico e collega Mickey Morrissey (J. Warden) potrebbe essere la causa giusta per tornare a galla. La sorella ed il genero della donna entrata in coma per via di un errore nell'anestesia gli chiedono solo di patteggiare. La direzione dell'ospedale Sant'Anna, un'istituzione religiosa rispettata e molto conosciuta di Boston, offre una grossa somma - all'avvocato ne spetta un terzo - pur di mettere a tacere tutto senza processo. Sembra fatta: per Galvin finalmente un segno nel casellario delle cause vinte ed un pò di denaro per rimettersi in sesto. Ma il caracollante, annebbiato avvocato, intristito dalle sconfitte della vita e certo bisognoso di soldi è pur sempre un brav'uomo e, per amore della verità, di se stesso e della giovane Laura (C. Rampling) che gli fa intravedere le soddisfazioni - oltre che i rischi - del combattimento per una causa giusta, il disperato, debole ma onesto avvocato Galvin non accetta di farsi comprare e decide di andare in giudizio. Vincerà, nonostante le scorrettezze e le ingiustizie che caratterizzeranno il processo.

Film del filone legal, di poche pretese, con i “soli” pregi di una grossa prestazione di Paul Newman e di una scorrevolezza, precisione e fluidità registica che fanno volare le due ore davanti allo schermo. Forse troppo. Già, perchè in questo film non viene approfondito granchè. Tutto resta nel campo dell'ovvio, dello scontato. Un giudice che più corrotto non si può, una Chiesa che da dietro alle quinte manovra a proprio piacimento le proprie marionette, una giuria popolare inaspettatamente sensibile, una teste scomparsa che improvvisamente cambia idea e si presenta al processo per sparigliare i giochi.

Se nella prima parte tutto sommato il film risulta gradevole ed il personaggio di Newman simpatico e credibile, nella seconda - quella più spiccatamente processuale - tutto pare pensato solo ed esclusivamente per aumentare la suspence, creare intoppi e poi chiudere - ovviamente con la vittoria dei "buoni" - una storia che pure si era messa così male per i "nostri eroi". Alcune trovate davvero paiono eccessivamente semplici, come il medico - fino a quel momento testimone chiave dell'accusa - comprato con un viaggio ai Caraibi di una settimana, la scoperta casuale dell'assegno che testimonia il tradimento di Laura (anche lei prezzolata dalla difesa per spiare Galvin), la fotocopia del referto originale che incastrerà i medici del Sant'Anna, colpevoli di aver praticato un'anestesia ad una donna che aveva mangiato da appena un'ora, causandole così la morte per soffocamento indotto dal proprio vomito nella mascherina.

Quale altra giustificazione trovare in questo lavoro se non quella di mettere in scena una storia a lieto fine facendo apparire i "cattivi" davvero cattivi ed i "buoni" davvero buoni, per quanto sfigati e deboli? E di dimostrare così che il buon cuore umano - in questo caso invocato come supremo giudice - sceglie di stare dalla parte dei secondi, nonostante i custodi e professionisti della legge cerchino in tutti i modi di schiacciarli? Americani brava gente.

Anche il finale lascia più di una perplessità.

Newman e la regia – davvero super – di Lumet salvano in corner un film che per il resto sarebbe poca cosa.

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