mercoledì 9 luglio 2008

Una vita difficile - D. Risi (1961)


Capolavoro di Risi (dalla sceneggiatura di Rodolfo Sonego) e sottile trattato sulla società italiana del dopoguerra e sugli anni della ricostruzione. Alberto Sordi in stato di grazia. Piani sequenza interminabili, difficili da sostenere in scena (ma in certi casi davvero memorabili e meritatamente entrati nella leggenda del cinema italiano) ed una recitazione superlativa, con monologhi lunghi, voce e gestualità spesso alterate dall'alcol, ne fanno una prova a dir poco sontuosa.
Silvio Magnozzi è uno scrittore partigiano, che scrive un giornale clandestino nell'Italia del nord occupata dai tedeschi. Catturato da un nazista nei pressi del lago di Como, non viene ucciso solo grazie all'intervento di Elena, figlia della proprietaria di una locanda, che riesce a nasconderlo in un mulino dal quale però lui scapperà dopo alcuni mesi per tornare a combattere assieme ai compagni.
Finita la guerra, Silvio - un pò cialtrone ma con le idee ed i princìpi ben saldi - scrive su "Il lavoratore", giornale della capitale. In redazione, nei rapporti con il direttore, comincia a rendersi conto di quanto sarà difficile mantenere purezza ed intransigenza e non scendere a compromessi con il nuovo potere, incarnato fin dal primo titolo di giornale negli americani.
Stanno arrivando la ricostruzione, la ricchezza ed il benessere. Ma forse, con esse, anche una società più ingiusta, iniqua e violenta, ben lontana dagli ideali di libertà ed uguaglianza che avevano animato la Resistenza.
La società (tipicamente italiana) del servilismo verso i più forti, dello scudo (crociato) a difesa delle "tradizioni" e della "famiglia". La società dell'assenza di un "qualcosa chiamato società" (M. Thatcher).
La società del trio Stato (potere), mercato (denaro), famiglie (individui, invidie, competizione).
Tornato a Cantù per un servizio, Silvio incontra di nuovo Elena che decide di scappare con lui a Roma. Passeranno momenti difficili, senza soldi né cibo, fra scarpe usurate e ristoranti che non fan loro più credito. Dopo la vittoria della Repubblica al referendum del '46(vissuta gioendo silenziosamente in casa di ferventi monarchici, davanti ad un abbondante piatto di pasta), Silvio si trova davanti ad un bivio decisivo per la sua vita: mentre Elena è incinta, gli viene proposto di non pubblicare accuse pesanti nei confronti di un potente in cambio di denaro per lui e terreni intestati al nascituro. Dopo un doloroso (e toccante) dialogo notturno con la moglie, Silvio rifiuta, testardamente e coraggiosamente, fa pubblicare e si ritrova condannato per calunnia e più povero di prima.
Incarcerato per due anni a seguito dell'arresto per un'occupazione della sede della Rai, Silvio non assiste nemmeno alla nascita del figlio, e viene ripetutamente lasciato in isolamento per la sua cocciuta abitudine alla ribellione e a non abbassare la testa, che non perde nemmeno in prigione. Dietro le sbarre, scriverà "Una vita difficile", romanzo autobiografico sulla Resistenza che sarà considerato eversivo da tutti gli editori cui si rivolgerà e sbeffeggiato da un mondo del cinema troppo attento a pompose ed autoglorificanti ricostruzioni storiche che ad osservare la realtà. Uscito di galera, perde il lavoro ed assiste all'arricchimento degli ex-colleghi ex-amici ed ex-compagni, che hanno capito in fretta da che parte tirava il vento ed ora sono ex-giornalisti ridotti a megafono dei potenti.
La moglie e soprattutto la suocera lo costringono quindi ad abbandonare ideali e scrittura – che, quando vanno a braccetto, non danno da mangiare! - ed a studiare per prendere la laurea e trasferirsi a lavorare a Cantù in un ufficio pubblico, con uno stipendio sicuro "ed una bella macchina: che nessuno dica che mia figlia ha sposato un pezzente!". L'esame di laurea si rivela una pesante umiliazione.
Piantato da Elena dopo l'ennesima sbronza depressa e delirante, Silvio finirà in fretta (quasi troppa: unica pecca nella scrittura del film) per vestire i ruoli del perfetto medio italiano (quasi "fantozziano", merdaccia e via dicendo) e, per amore, accetterà le peggiori umiliazioni pur di garantire a sé e soprattutto alla signora un futuro di tranquililtà borghese.
Illuminata parabola sugli italiani e l'italietta con piccola riscossa finale. Toccante il momento di debolezza a tu per tu con il figlio. "Io sono uno che non ha cercato la fortuna".

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