lunedì 2 febbraio 2009

La femme infidèle - C. Chabrol (1969)

La tranquilla vita borghese di una famiglia "da Mulino Bianco" rivoltata come un calzino ed indagata nei suoi aspetti più contraddittori.
Un marito ricco ed affermatato, una moglie bella ed affascinante, un bambino serio, studioso, angelico (anche fisicamente); una grande villa in campagna, saltuari locali da ballo, domestica tuttofare. Che volere di più?
Eppure, Charles (un antiquario interpretato da M. Bouquet) ha il sospetto che sua moglie (Hélène, S. Audran) lo tradisca. Lo scopre piano piano, senza bisogno di vederla nuda con un altro, nè di fare scenate di gelosia, lo intuisce da piccoli dettagli. Una telefonata fatta di nascosto, un controllo dalla parrucchiera, le continue uscite al cinema da sola. Il tarlo della gelosia comincia a tormentarlo e Charles si affida ad un investigatore privato. In pochi giorni, il responso: Hélène si vede regolarmente con un uomo, uno scrittore, a casa di questi.
Quando Charles si reca sul luogo del misfatto e suona il campanello, il suo atteggiamento ci pare ambiguo: si presenta e, per lo stupore del suo rivale, non gli salta addosso, non lo aggredisce. Si fa offrire da bere e comincia anzi a fare il superiore, sminuendo quel rapporto extra-coniugale: la loro è una coppia libera, in cui i coniugi si tradiscono senza problemi, raccontandosi tutto delle loro avventure. Vuole anzi vedere la camera da letto, "per immaginare meglio" dice.
Stupito da tali perversioni, ma piacevolmente sollevato, l'amante di Hélène pensa di potersi lasciare andare e si permette addirittura di intromettersi nel loro matrimonio, dando dei consigli. Hélène non è adatta a vivere in campagna, a suo parere, i coniugi dovrebbero trasferirsi vicino a Parigi, perchè una donna come lei è fatta per vivere in città.
Charles lo uccide spaccandogli la testa e getta il corpo in fondo ad un lago.


Quando Hélène troverà, nella giacca di Charles, una foto del suo amante con l'indirizzo scritto sul retro capirà tutto. Eppure, senza bisogno di parole, dimostrerà la sua solidarietà al marito bruciando quell'indizio.
Nel momento in cui gli interrogatori della polizia si fanno più insistenti il film si chiude, con un finale che più aperto non si può. Sia dal punto di vista della scrittura: Charles sarà arrestato? Il suo omicidio è stato scoperto? Non ci viene detto. Sia dal punto di vista della messa in scena, con una memorabile sequenza finale che non ci svela, tramite un trucco di regia, se i due sono destinati a riavvicinarsi o ad allontanarsi.


Dramma della gelosia? Tendenza tutta maschile ad affermare la "proprietà" su una donna ed il corrispondente diritto ad escludere tutti gli altri? Felicità della donna quando scopre che il suo uomo - che pure tradisce - è disposto finanche ad uccidere per il suo amore? Sono clichés della mentalità piccolo borghese che il film non eslcude ma certo nemmeno enfatizza.
Forse quello che Chabrol ha voluto mettere in scena - riuscendovi alla grande - è semplicemente la forza dell'amore (le ultime due battute del film sono un "Ti amo" reciproco); quell'amore che, se davvero autentico, è anche senza limiti, arriva a travolgere tutto: regole sociali, leggi, obblighi morali. Ma anche a far perdonare tutto: tradimenti, omicidi, meschinerie. Niente ha più importanza, niente deve essere giudicato, quando di mezzo c'è l'amore.
E il bello del film è che tutto avviene incredibilmente sotto tono, in maniera riflessiva, senza scenate ed isterie.
L'unico momento di ira lo si ritrova davanti al bambino, il quale - ovviamente - non riesce a leggere in quella tensione momentanea un'esplosione di ritrovata (e silenziosa) complicità fra i genitori. Per lui, è soltanto una macchia nel loro meraviglioso e ricco mondo del "Mulino Bianco". Gli manca un pezzo per completare il puzzle.

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