martedì 24 giugno 2008

Les siestes grenadine - M: Ben Mahmoud (1999)

Les siestes grenadine (sieste-granatina) sono i primi giorni dell'autunno, quando fa ancora caldo ed i melograni maturano. Ed ancora i melograni sono oggetto di un'altra tradizione popolare che Ben Mahmoud ci offre: aprendone uno con le mani, per ogni chicco che cade in terra corrisponderà una lacrima versata.
È una riflessione scorrevole ed acuta questo lungometraggio del regista (e sceneggiatore) tunisino che non scade mai nel melodrammatico o nel banale, ma riesce ad essere lucido e coraggioso quanto basta per mettere in mostra e sbeffeggiare virtù e (soprattutto) vizi della società tunisina del finire del XX secolo. Il feroce razzismo ("la mamma del cretino è sempre incinta, dappertutto", si potrebbe dire), che relega i "negri" a macchiette puzzolenti o lavoratori umili. L'ottuso rigore con cui si seguono arcaiche e barbare tradizioni, appena mascherate – ma chi ci crede più? - da dettami religiosi. Il machismo. L'arrivismo e la falsità, la sete di denaro e la bella facciata da mantenere. Il tradimento privato e quello perpetrato dallo Stato nei confronti dei suoi cittadini, di cui finge di occuparsi amorevolmente, ma ai quali non lascia altra scelta che rischiare la vita di notte, a bordo di barchette, per tentare di raggiungere l'Italia. È la scelta che farà Chafik, giovane soldato per costrizione paterna, che diserta e parte, dopo aver fatto cadere un mucchio di semi aprendo un melograno. Non una buona partenza.
Soufiya è un'energica e vitale meticcia franco-tunisina, ma che si definisce "nera". Amante della danza africana e della cultura dell'Africa nera, in cui è cresciuta con il padre, soffre non solo per la mancanza della madre, ma anche per il razzismo, l'immobilismo e la falsità di cui si sente circondata e soffocata al momento del ritorno in Tunisia. Ma non perde occasione per farsene beffe ed approfitta di ogni circostanza per sfatare stantii luoghi comuni e remare controcorrente. Con quella verve e quel sorriso, d'altronde, niente sembra esserle precluso. Persino – ma questo il film non ce lo dice – un eventuale ricongiungimento (almeno temporaneo) dei genitori, davanti al suo coinvolgente saggio di danza finale, a Tunisi.
Wahid è un ricco possidente terriero tunisino, di ritorno dopo una lunga fuga nell'Africa occidentale assieme all'amata figlia Soufiya. Accecato da un amore bigotto nei suoi confronti, deciso ad impartirle un'educazione secondo i dettami religiosi e a fare di lei una "ragazza del Paese", egli non esita a rubarla alla madre francese, che tuttavia non demorderà e rimarrà sospesa come una minaccia per tutta la durata del film. Rientrato in patria, pronto alla nuova vita da educatore della figlia ed amante di una brillante – quanto odiosa, falsa e razzista – conduttrice di talk-show televisivi, Wahid – da uomo tutto sommato intelligente e colto – si accorgerà ben presto che anche le amicizie che appaiono più strette possono nascondere spietati interessi economici e che essere persone responsabili (e, si potrebbe aggiungere, persone di fede) non significa "belare col gregge".
Belli i dialoghi in più lingue (si alternano tunisino, francese, wolof e dialetti saheliani), belli i momenti di intimità: volutamente volgare ed ostentato quello quasi imposto a Wahid dall'amante, affascinante quello fra le due ragazze (Soufiya e Mabruka, la figlia del custode della proprietà di Wahid: ragazza tanto ignorante quanto imbevuta di autentica saggezza popolare), sensuale e malinconico quella fra Soufiya e Chafik.
È proprio il passaggio di quest'ultimo da Big-Jim in uniforme dell'esercito tunisino, spaventato da cosa penseranno di lui gli amici dopo che una ragazza l'ha preso in giro in diretta tv e sottomesso alle bieche volontà del padre a galante romanticone ed aspirante emigrante clandestino ("bruciatore della frontiera") a rappresentare forse il momento più problematico del film, quanto a solidità narrativa.
E tuttavia si deve gioire (e ben sperare per il futuro) del fatto che Ben Mahmoud ci dica che tante delle chiusure mentali e delle paranoie maschiliste e pseudo-religiose che strangolano buona parte delle società (mica solo quella tunisina) si poggiano in realtà su fondamenta così fragili e ridicole che basta davvero poco (ad esempio, una ragazza dal sorriso travolgente, il cui viso "ha illuminato la proprietà" [citazione di Io ballo da sola di Bertolucci?]) per sconvolgerle, abbatterle e cercare altri valori, più autentici. Purtroppo, in molti casi, con una fuga che non si sa bene dove porti.

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