Les siestes grenadine (sieste-granatina) sono i primi giorni dell'autunno, quando fa ancora caldo ed i melograni maturano. Ed ancora i melograni sono oggetto di un'altra tradizione popolare che Ben Mahmoud ci offre: aprendone uno con le mani, per ogni chicco che cade in terra corrisponderà una lacrima versata. È una riflessione scorrevole ed acuta questo lungometraggio del regista (e sceneggiatore) tunisino che non scade mai nel melodrammatico o nel banale, ma riesce ad essere lucido e coraggioso quanto basta per mettere in mostra e sbeffeggiare virtù e (soprattutto) vizi della società tunisina del finire del XX secolo. Il feroce razzismo ("la mamma del cretino è sempre incinta, dappertutto", si potrebbe dire), che relega i "negri" a macchiette puzzolenti o lavoratori umili. L'ottuso rigore con cui si seguono arcaiche e barbare tradizioni, appena mascherate – ma chi ci crede più? - da dettami religiosi. Il machismo. L'arrivismo e la falsità, la sete di denaro e la bella facciata da mantenere. Il tradimento privato e quello perpetrato dallo Stato nei confronti dei suoi cittadini, di cui finge di occuparsi amorevolmente, ma ai quali non lascia altra scelta che rischiare la vita di notte, a bordo di barchette, per tentare di raggiungere l'Italia. È la scelta che farà Chafik, giovane soldato per costrizione paterna, che diserta e parte, dopo aver fatto cadere un mucchio di semi aprendo un melograno. Non una buona
partenza.
partenza. Soufiya è un'energica e vitale meticcia franco-tunisina, ma che si definisce "nera". Amante della danza africana e della cultura dell'Africa nera, in cui è cresciuta con il padre, soffre non solo per la mancanza della madre, ma anche per il razzismo, l'immobilismo e la falsità di cui si sente circondata e soffocata al momento del ritorno in Tunisia. Ma non perde occasione per farsene beffe ed approfitta di ogni circostanza per sfatare stantii luoghi comuni e remare controcorrente. Con quella verve e quel sorriso, d'altronde, niente sembra esserle precluso. Persino – ma questo il film non ce lo dice – un eventuale ricongiungimento (almeno temporaneo) dei genitori, davanti al suo coinvolgente saggio di danza finale, a Tunisi.
Wahid è un ricco possidente terriero tunisino, di ritorno dopo una lunga fuga nell'Africa occidentale assieme all'amata figlia Soufiya. Accecato da un amore bigotto nei suoi
confronti, deciso ad impartirle un'educazione secondo i dettami religiosi e a fare di lei una "ragazza del Paese", egli non esita a rubarla alla madre francese, che tuttavia non demorderà e rimarrà sospesa come una minaccia per tutta la durata del film. Rientrato in patria, pronto alla nuova vita da educatore della figlia ed amante di una brillante – quanto odiosa, falsa e razzista – conduttrice di talk-show televisivi, Wahid – da uomo tutto sommato intelligente e colto – si accorgerà ben presto che anche le amicizie che appaiono più strette possono nascondere spietati interessi economici e che essere persone responsabili (e, si potrebbe aggiungere, persone di fede) non significa "belare col gregge".
confronti, deciso ad impartirle un'educazione secondo i dettami religiosi e a fare di lei una "ragazza del Paese", egli non esita a rubarla alla madre francese, che tuttavia non demorderà e rimarrà sospesa come una minaccia per tutta la durata del film. Rientrato in patria, pronto alla nuova vita da educatore della figlia ed amante di una brillante – quanto odiosa, falsa e razzista – conduttrice di talk-show televisivi, Wahid – da uomo tutto sommato intelligente e colto – si accorgerà ben presto che anche le amicizie che appaiono più strette possono nascondere spietati interessi economici e che essere persone responsabili (e, si potrebbe aggiungere, persone di fede) non significa "belare col gregge". Belli i dialoghi in più lingue (si alternano tunisino, francese, wolof e dialetti saheliani), belli i momenti di intimità: volutamente volgare ed ostentato quello quasi imposto a Wahid
dall'amante, affascinante quello fra le due ragazze (Soufiya e Mabruka, la figlia del custode della proprietà di Wahid: ragazza tanto ignorante quanto imbevuta di autentica saggezza popolare), sensuale e malinconico quella fra Soufiya e Chafik.
dall'amante, affascinante quello fra le due ragazze (Soufiya e Mabruka, la figlia del custode della proprietà di Wahid: ragazza tanto ignorante quanto imbevuta di autentica saggezza popolare), sensuale e malinconico quella fra Soufiya e Chafik. È proprio il passaggio di quest'ultimo da Big-Jim in uniforme dell'esercito tunisino, spaventato da cosa penseranno di lui gli amici dopo che una ragazza l'ha preso in giro in diretta tv e sottomesso alle bieche volontà del padre a galante romanticone ed aspirante emigrante clandestino ("bruciatore della frontiera") a rappresentare forse il momento più problematico del film, quanto a solidità narrativa.
E tuttavia si deve gioire (e ben sperare per il futuro) del fatto che Ben Mahmoud ci dica che tante delle chiusure mentali e delle paranoie maschiliste e pseudo-religiose che strangolano buona
parte delle società (mica solo quella tunisina) si poggiano in realtà su fondamenta così fragili e ridicole che basta davvero poco (ad esempio, una ragazza dal sorriso travolgente, il cui viso "ha illuminato la proprietà" [citazione di Io ballo da sola di Bertolucci?]) per sconvolgerle, abbatterle e cercare altri valori, più autentici. Purtroppo, in molti casi, con una fuga che non si sa bene dove porti.
parte delle società (mica solo quella tunisina) si poggiano in realtà su fondamenta così fragili e ridicole che basta davvero poco (ad esempio, una ragazza dal sorriso travolgente, il cui viso "ha illuminato la proprietà" [citazione di Io ballo da sola di Bertolucci?]) per sconvolgerle, abbatterle e cercare altri valori, più autentici. Purtroppo, in molti casi, con una fuga che non si sa bene dove porti.
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