
Vive con la sua famiglia nel Ténéré, Niger, spostandosi di uadi (letto del fiume in secca, saltuariamente riempito in occasione delle rare piogge) in uadi, alla ricerca di condizioni climatiche che garantiscano la sopravvivenza loro e degli animali.
"Il deserto non si impara...si vive ed esso uccide quelli che non lo rispettano".
Il piccolo Mano cresce libero e coraggioso, fra massime di saggezza del padre e ardue prove fisiche di sopravvivenza per dimostrare agli altri e a se stesso di essere in grado di reggere gli urti più tremendi del deserto, di sapersi orientare fra le dune, di sopportare la sete, di evitare la collera dei djinns (spiriti del deserto) di distinguere le impronte dei cammelli sulla sabbia, per poter un giorno diventare il capo di una delle mitiche carovane del sale, interminabili file di cammelli che si spostano per il deserto trasportando i preziosi sacchi di sale.
I francesi, prima, ed i nigerini poi, però, cercano di sottrarre ai Tuareg, popolazione berbera e nomade, i loro usi e la loro cultura. Mano, per scappare alla scuola francese, deve fuggire nel deserto col padre. Rientrato, viene comunque costretto a frequentare. 

"Non sono mica i francesi che insegneranno ai Tuareg a trovare un pozzo, ad orientarsi con le stelle" "Non abbiamo più il diritto di parlare la nostra lingua. A chi viene sorpreso a pronunciare una parola in tamasheq tocca il berretto d'asino; una croce di legno che si deve portare tutta la giornata, appesa attorno al collo con un laccio. Questa croce è per noi un vero affronto. È come se ci si punisse di essere nati Tuareg".
Nel 1960 il Niger ottiene la sua indipendenza, ma i Tuareg ne sono esclusi: le potenze coloniali e la Francia spezzettano i paesi saheliani tracciando confini geometrici che impediscono ai nomadi di percorrere le loro solite rotte senza incappare in controlli delle nuove "autorità".
Mano nel frattempo si affeziona alla scuola ed al suo primo maestro, cresce e si sposta in un'altra scuola, vicino ad Agadez.
La situazione per i Tuareg peggiora notevolmente con l'indipendenza di Mali e Niger: in entrambi i Paesi, le popolazioni nomadi vengono perseguitate: i soldati bruciano gli accampamenti, avvelenano i pozzi, sterminano il bestiame. Mano perde il padre, si trasferisce a Niame
y, la capitale del Niger, è costretto al servizio militare.

Nei primi anni '70 si trasferisce a Parigi, poi negli Stati Uniti, poi di nuovo a Parigi per studiare e vive sulla propria pelle la frustrazione di non riuscire a fare niente per la propria gente, nonostante l'impegno profuso.
Americani e francesi sembrano essere coinvolti soltanto dagli aspetti più "folkloristici" del popolo Tuareg:
"è vero che le donne Tuareg sono bionde con gli occhi blu? Quanto costa un cammello? Come si dice cammello in tamasheq?".
La condizione dei Tuareg continua a peggiorare: le siccità sono sempre più frequenti e distruttive, si diffondono malattie da carenze alimentari. Nessun intervento viene messo in atto. Gli uomini emigrano in Algeria o Libia, nelle baraccopoli delle grandi città, a mendicare un la
voro manuale che fino a poco prima il loro orgoglio Tuareg gli avrebbe impedito di fare.

Tornato in Niger, Mano decide di aprire un'agenzia di viaggi, per attirare turisti nel deserto ed utilizzare il denaro per migliorare le condizioni dei Tuareg. Sfruttando anche la sua capacità di intessere buoni rapporti, diviene amico di piloti e manager della Parigi-Dakar, mitica corsa nel deserto, che Mano cerca di sfruttare per dare visibilità alle sofferenze del suo popolo.
Il 1990 è un anno decisivo: nel maggio alcuni giovani Tuareg, disperati per la miseria che loro e le loro famiglie vivevano nei campi profughi in perenne attesa di aiuti, si mobilitano, nella regione di Tchin-Tabaraden, ottenendo per tutta risposta la feroce violenza dell'esercito che, in poche ore, procede alle peggiori uccisioni, torture, umiliazioni.
Questo fatto di inaudita gravità e violenza fa prendere coscienza a molti Tuareg che non vi sarebbe mai stato spazio per democrazia e giustizia.
Alcuni decidono di prendere le armi e rinchiudersi nella "fortezza" naturale che è il massiccio dell'Air. Altri, nonostante tutto, continuano a credere in una soluzione pacifica. Si tratta di una spaccatura
definitiva e decisiva per questo popolo.

Mano, in Francia, trova sostegno ed appoggio alla causa perfino dalla signora Mitterand, ma nemmeno questo ebbe alcuna importanza: l'esercito del Niger continuava ad arrestare anche donne e bambini, mentre la ribellione continuava a dividersi, sempre più su basi tribali.
Dopo le elezioni del 1993 in Niger, le delegazioni del nuovo governo e dei ribelli (guidata da Mano Dayak, ma molto divisa al suo interno) si incontrano a Parigi per un accordo di pace. L'accordo viene firmato ma un gruppo di resistenti Tuareg lo rifiuta.
Nel 1994, a Ouagadougou, si tiene l'ennesimo incontro, da molti considerato come l'ultima spiaggia. I negoziati sono lunghi ed estenuanti, fino a che, il 9 ottobre 1994, dopo 3 anni di terribile guerra, viene firmata la pace fra la Repubblica del Niger ed il Coordinamento della Resistenza Armata (CRA).
"Quel giorno cominciò il lavoro più difficile, ma anche il più motivante: costruire la pace...Bisognerà lottare a lungo per creare scuole, dispensari, unità sanitarie mobili, progetti di artigianato, turismo, per sviluppare le nostre risorse e vivere di esse liberamente".
"Quando dall'alto della mia roccia, io guardo questo deserto, che ha visto viaggiare mio padre e prima di lui il padre di mio padre e tutti i padri dei miei fratelli tuareg, io so che da esso noi prenderemo la forza e la saggezza necessarie per costruire il mondo che sogniamo per le nostre famiglie e per i nostri figli".
Gli accordi salutati con così grande entusiasmo rimasero tuttavia lettera morta. Mano Dayak morì nell'esplosione dell'aereo che avrebbe dovuto portarlo dal premier del Niger, a discutere dell'applicazione degli accordi di pace, il 15 dicembre 1995.
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